Uomo getta bottiglia di plastica in un cestino per la raccolta differenziata in strada

Sta crescendo sensibilmente il numero di prodotti alimentari confezionati con plastiche riciclate, una caratteristica di solito segnalata in etichetta. Ma si tratta di materiali sicuri per questo tipo di utilizzi? Se lo chiede un lungo articolo del sito statunitense Environmental Health News, che fa il punto sulla realtà americana, giungendo alla conclusione che sarebbe necessario saperne di più e, nell’attesa, avere norme diverse da quelle attuali, ormai inadeguate.

Le approvazioni della Food and Drug Administration

Dal 1990 a oggi la Food and Drug Administration (FDA), agenzia statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari, ha approvato 347 richieste di plastiche riciclate da utilizzare nel pack alimentare. Un numero che, da solo, illustra bene il successo di tali materiali. Negli ultimi tempi, poi, il fenomeno ha subito una vistosa accelerazione: se fino al 2019 giungevano 7-8 richieste l’anno, oggi ne arrivano in media 23 e nel 2024 sono già state 27. I database della FDA non indicano le aziende destinatarie, ma sono molti i marchi popolari che iniziano ad avere confezioni con plastica parzialmente o totalmente riciclata. Tra questi Coca-Cola, che in Nord America vende bottiglie in PET riciclato al 100%, ma anche Cadbury, i cui involucri contengono plastica riciclata al 30%, o General Mills, le cui confezioni di cereali della linea Annie arrivano al 35%.

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Nel mondo si ricicla il 9% della plastica, soprattutto meccanicamente, attraverso estrusioni, frammentazioni, lavaggi e riassemblaggi in nuovi pellet

Il sistema di produzione del packaging sembra dunque avviato verso una maggiore sostenibilità, ma la legislazione è rimasta indietro. L’approvazione dei materiali riciclati è basata su dossier presentati volontariamente dalle aziende, che sono tenute a seguire specifiche linee guida nell’esecuzione dei test, ma hanno l’onere della prova di non tossicità esclusivamente a loro carico. La FDA si preoccupa prevalentemente delle contaminazioni da patogeni, che però in questo caso non costituiscono un problema. Inoltre, l’agenzia richiede valutazioni su materiali singoli, non tenendo conto delle miscele (chiamate dagli autori “zuppe tossiche”) che sono diffusissime e potrebbero costituire un serio rischio. Secondo una metanalisi pubblicata su Cambridge Prisms nel 2023, infatti, queste miscele possono rilasciare composti pericolosi come ftalati, bisfenolo A, benzene e altri idrocarburi aromatici, formaldeide e bismuto.

Le plastiche riciclate: zuppe tossiche?

Non è tutto. Le regole della FDA prevedono che non ci siano più di cinque ppm di singole sostanze cancerogene aggiunte. Tuttavia è evidente che il rischio dovuto all’accumulo e alle miscele andrebbe valutato, e non solo dal punto di vista oncologico. Oggi sono noti i possibili effetti associati a plastiche e plastificanti sul sistema endocrino e sullo sviluppo cognitivo. Non tenerne conto è poco giustificabile. Le norme, varate molti anni fa, sono obsolete e andrebbero riviste.

Oggi nel mondo si ricicla solo il 9% della plastica prodotta e lo si fa soprattutto meccanicamente, attraverso estrusioni, frammentazioni, lavaggi e poi riassemblaggi in nuovi pellet. Nella maggior parte dei casi si tratta di materiali misti e di processi nei quali, per esempio, le bottiglie di latte sono a contatto con quelle di detersivi o di pesticidi. Per questo alcune plastiche riciclate possono contenere sostanze tossiche. Va meglio con le filiere di un solo monomero, come il PET, perché in quel caso è più facile controllare la situazione, anche se non mancano rischi derivanti dalle colle per le etichette, dai tappi e dagli inchiostri. 

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Nelle filiere di un solo monomero, come il PET, è più facile controllare la situazione

Altri pericoli possono essere insiti nei processi di stabilizzazione dei materiali, che spesso richiedono l’aggiunta di additivi per giungere a plastiche di qualità paragonabile a quelli vergini. In definitiva, quindi, le plastiche riciclate sono miscele complesse la cui composizione non è sempre chiara, che andrebbero studiate nel dettaglio prima di essere utilizzate per gli alimenti. Per dare un’idea, secondo uno studio del 2022, il PET riciclato rilascia 524 sostanze organiche volatili, mentre quello vergine si ferma – si fa per dire – a 461. 

Il mercato attuale 

Secondo gli ultimi dati, circa due terzi della plastica riciclata a uso alimentare è PET, mentre il resto è polipropilene (PP) o polietilene ad alta densità (HDPE). Gli impieghi coprono tutti gli ambiti: dal confezionamento di frutta, verdura, bevande e carni e alle stoviglie monouso, dai sacchetti ai tappi. Le richieste per nuovi materiali sono quasi sempre per plastiche ottenute meccanicamente, ma ci sono anche dossier su procedimenti chimici (molto energivori) non sempre supportati da prove sufficienti della possibilità di ottenere il monomero originale di partenza e non altre sostanze derivanti dalle reazioni. La situazione è insomma articolata e non adeguatamente regolamentata dal punto di vista della sicurezza. Riciclare la plastica a scopo alimentare è un’ottima cosa, ma sarebbe opportuno che le autorità finanziassero studi sui nuovi materiali e processi.

© Riproduzione riservata; Foto: A buon rendere, AdobeStock, Depositphotos

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