Il conteggio dei decessi per ora è fermo a 29 e la curva dell’epidemia tende allo zero, come è normale che accada, dopo quattro mesi dalle prime segnalazioni. Tuttavia la Listeria del melone in America potrebbe ancora fare qualche vittima prima di essere definitivamente sconfitta. E nel frattempo, sempre negli Stati Uniti, ci sono stati altri allarmi relativi a possibili contaminazioni da Listeria in alcune partite di spinaci Tesco e in sandwich con selvaggina.
Quella che è stata una delle più gravi (la terza negli ultimi cento anni) crisi di tossinfezioni alimentari recenti sembra ormai sotto controllo. La vicenda ha però riacceso i riflettori sulla Listeria, un microrganismo considerato particolarmente insidioso.
Spiega a Il Fatto Alimentare Antonia Ricci, dell’Istituto zooprofilattico delle Venezie di Padova: «A differenza di altri agenti patogeni, la Listeria riesce a riprodursi benissimo anche alle basse temperature. Per questo, una volta che ha contaminato un frigorifero può restare pericolosa per molto tempo. Inoltre questa capacità la rende capace di proliferare nei cibi pronti crudi, come le verdure già lavate e tagliate, da conservare al freddo. Non stupisce che la fonte sia stata una partita di melone, così come non stupiscono le recenti segnalazioni nel salmone o quelle in alcuni formaggi».
Nel caso dei meloni, secondo l’indagine svolta dai CDC presso la Jensen Farms i frutti non erano stati sottoposti a un pre-raffreddamento, ma posti subito nei frigoriferi, azione che favorisce la formazione di condensa e la proliferazione di batteri. Inoltre nel magazzino in precedenza erano stati stoccati altri frutti, senza effettuare i necessari lavaggi e disinfezioni tra una partita e l’altra.
Ancora, il pavimento era di un materiale difficilmente lavabile con una pendenza e conformazione che favorivano l’accumulo di acqua anche lungo il percorso degli addetti. Se a tutto ciò si aggiunge la particolare struttura rugosa della buccia del melone, “nicchie” perfette per la crescita batterica, si capisce meglio che cosa è successo e che sarebbero bastati pochi, elementari provvedimenti per evitare il decesso di una trentina di persone.
Più in generale, i casi di listeria sembrano in aumento, ma i dati dei CDC relativi al 2010 pongono questa infezione in netta diminuzione (del 38%) insieme al Campylobacter, alle Shigelle e ad alcuni Coliformi. Al contrario di Salmonelle (più 3%) e Colera (vedi tab). Qual è dunque la situazione reale?
Risponde Ricci: «Al di là dei dati di un singolo paese, le tossinfezioni alimentari sono in crescita in tutto il mondo, per una ragione molto semplice: la dimensione globale e industriale che ha ormai assunto il settore agroalimentare. Il caso del melone, così come la crisi dell’Escherichia Coli in Germania qualche mese fa, è illuminante: il melone tagliato di una piccola azienda del Colorado è arrivato in 28 stati americani, così come i germogli di fieno greco prodotti in Egitto sono stati distribuiti in molti paesi europei. Le segnalazioni tendono quindi ad aumentare, anche perché il consumo di alimenti pronti e spesso non cotti è in crescita costante.
Oltre a ciò bisogna ricordare che i controlli aumentano e diventano sempre più sensibili, e quindi risulta più facile attribuire un nome e un cognome a quelle che un tempo venivano genericamente definite come infezioni di origine alimentare».
In Italia, anche se non mancano periodiche segnalazioni e ritiri, la listeria non sembra avere moltissime chance di causare disastri come quello americano, per vari motivi. «Il primo, spiega Ricci, è la rete di controlli capillari sul territorio effettuati ogni giorno da: Arpa, istituti zooprofilattici, Asl e sistema veterinario e la costante verifica delle segnalazioni. È è assai difficile che un’infezione sfugga e riesca a diffondersi».
Poi ci sono le abitudini alimentari degli italiani che, seppur diverse rispetto a qualche decennio fa, sono state mantenute negli elementi fondamentali. Ancora Ricci: «Da noi non si consumano ancora tanti cibi pronti, soprattutto di origine vegetale, né sono numerosi i luoghi dove si vende cibo per strada. Inoltre gli italiani amano le produzioni nostrane e ciò li pone automaticamente al riparo da alcuni rischi».
Restano comunque valide le raccomandazioni legate al consumo di frutta e verdura, soprattutto se già confezionati: acquistare i vegetali poco prima di consumarli, non tenerli troppo a lungo in casa e, quando è necessario, togliere la buccia – come nel caso del melone – farlo ponendo il frutto sotto l’acqua; conservare i prodotti in frigo e tagliarli solo poco prima del pasto, curando l’igiene di utensili e coltelli.
Agnese Codignola
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Le più gravi infezioni alimentari negli Stati Uniti dal 1900 a oggi
anno | luogo | Agente patogeno | fonte | conseguenze |
1911 | Boston | streptococchi | Latte crudo | 48 decessi, 2.000 contagiati
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1919 | California | botulino | Olive | 15 decessi, numero di contagiati ignoto
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1922 | Portland (Oregon) | streptococchi | latte | 22 decessi, circa 500 contagiati
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1924-25 | New York | Salmonella tifoide | ostriche | 150 decessi, 1.500 contagiati
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1983 | Massachussetts | listeria | latte | 12 decessi, 49 contagiati
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1985
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Illinois | salmonella | latte | 14 decessi, numero contagiati ignoto
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1985
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California | listeria | Formaggio queso blanco | 28 decessi, 20 aborti e 142 contagiati |
1993
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Seattle | Escherichia coli O157:H7 | hamburger | 4 decessi, 700 contagiati |
1998 | USA
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listeria | Hot dog | 14 decessi, 108 contagiati |
2002 | USA | listeria | pollo | 8 decessi, 54 contagiati
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2008 | USA | salmonella | Burro d’arachide | 9 decessi, 714 contagiati
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Giornalista scientifica