Antibiotici negli allevamenti: in Europa i controlli stringenti e la vaccinazione rendono difficile l’abuso, ma non si è annullato il rischio resistenze
Antibiotici negli allevamenti: in Europa i controlli stringenti e la vaccinazione rendono difficile l’abuso, ma non si è annullato il rischio resistenze
Redazione 31 Marzo 2015Il consumo di antibiotici negli allevamenti di pollo è uno dei temi più dibattuti. Due gli aspetti correlati: il benessere dell’animale e la diffusione della resistenza che li rende privi di effetti nelle situazioni in cui dovrebbero agire da salvavita. Il pollo è infatti allevato in maniera intensiva da 50 anni, duranti i quali si sono raggiunti i numeri attuali: ogni anno nel mondo vengono consumati 106 milioni di tonnellate di carne, con il sacrificio di circa 58 miliardi di animali (circa otto per ogni essere umano).
In capannoni lunghi cento metri e larghi almeno 12 (negli Stati Uniti sono anche più ampi), con una densità di almeno 15 animali per metro quadro, vengono cresciuti per 40-50 giorni diverse migliaia di polli destinati alla macellazione. Una storia che si ripete almeno quattro volte l’anno. In Italia gli antibiotici sciolti nell’acqua si usano per 3-5 giorni solo quando nel capannone compaiono i primi segni di un’infezione anche su pochi animali. È il veterinario aziendale a fare la diagnosi e a prescrivere la terapia, di cui rimane traccia nelle tre ricette obbligatorie destinate alla Asl, alla farmacia e al responsabile della struttura. Gli specialisti delle aziende sanitarie locali – negli allevamenti, al momento della macellazione e nei punti vendita – effettuano i controlli periodici, senza preavviso. «Trovare qualcuno che si faccia beccare in fallo non è più così frequente», ammettono alcuni. Come riporta la relazione annuale sui controlli effettuati per la protezione degli animali in allevamento, nel 2013 sono stati controllati 697 allevamenti (su 1574) di galline ovaiole e 702 (su 2643) capannoni dove crescevano polli da carne. «Non sono state evidenziate irregolarità rilevanti: la principale, sui polli da carne, ha riguardato problemi con il personale», fanno sapere dal Ministero della Salute, estensore del documento.
Per motivi di sicurezza, quando l’animale viene trattato con antibiotici, la macellazione avviene solo dopo aver rispettato i tempi di sospensione del farmaco, come previsto per legge. Il passaggio è necessario per far rientrare i livelli di residuo del farmaco nei limiti fissati per ogni molecola. Altra storia, invece, è l’utilizzo degli antibiotici a scopo preventivo, vietato in Europa dal 2006. Un mercato nero esiste, ma il fenomeno, a sentire ciò che raccontano gli addetti ai lavori, è contenuto. La filiera integrata fa della catena di produzione del pollo una delle più controllate. Le aziende interessate supervisionano tutti gli step e risultano proprietarie degli animali. Si tratta di un oligopolio in cui, in caso di frode, le responsabilità – amministrative e penali – vengono subito a galla, alla pari del danno di immagine. Sono i numeri a certificare l’uso mitigato – rispetto al passato, ma molto resta ancora da fare – di antibiotici negli allevamenti avicoli. Il terzo rapporto Esvac, diffuso dalla European Medicines Agency (Ema) sulla base dei dati di vendita (fino al 2011) rilasciati dalle aziende, riferisce un calo del 13% rispetto all’anno precedente (sono gli ultimi disponibili). In sintonia è anche Unaitalia, l’associazione di categoria che riunisce i principali produttori di carne avicola. Dal 2011 a oggi, da rilevazioni effettuate sul campo e dunque relative ai consumi, emerge come ai polli si somministri meno del 12% degli antibiotici impiegati nella zootecnia in Italia. Negli anni l’impiego massiccio è divenuto un problema anche per l’industria, impegnata assieme alle istituzioni nella stesura di un piano per la riduzione dell’uso di antibiotici negli allevamenti: cosa già fatta per quelli dei conigli.
Alla base della riduzione dei consumi c’è anche un cambio di strategia adottato nella profilassi delle infezioni. Dagli antibiotici si è passati a sviluppare i vaccini. «Oggi in Italia se ne somministrano più di un milione di dosi al giorno – afferma Guido Grilli, ricercatore presso il dipartimento di scienze veterinarie e sanità pubblica dell’Università di Milano e presidente della Società Italiana di Patologia Aviare. I polli da carne, macellati tra i 42 e i 56 giorni di vita, ricevono almeno quattro vaccinazioni e i più grossi gruppi avicoli italiani vaccinano già il pollo a livello di embrione». L’approccio nuovo non ha però attenuato il problema della resistenza agli antibiotici, oggi responsabile di almeno venticinquemila morti umane ogni anno nella sola Europa, e riportato a galla da un’inchiesta di Altroconsumo. Né tantomeno scacciato i dubbi relativi al benessere degli animali.
In un capannone di duemila metri quadri, attorno al ventesimo giorno di vita di una partita di polli, si possono contare anche venticinquemila animali. «Ma il loro benessere, come descritto su Nature già 11 anni fa, dipende più dalle condizioni ambientali che dalla densità di allevamento», dichiara Leonardo James Vinco, responsabile del centro di referenza per il benessere in avicoltura all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna. A incidere sono anche illuminazione, ventilazione e temperatura dell’ambiente, oltre alle condizioni della lettiera. La legge garantisce la possibilità di sfoltire l’allevamento una sola volta, così da rispettare i limiti di densità, fissati dal decreto legislativo 181 del 2010 – salvo deroghe – a 33 chilogrammi di carne per metro quadro. Vengono macellati prima i galletti (dopo 15-20 giorni), poi i polli allo spiedo (al trentesimo giorno di vita), infine i broiler (a 54 giorni).
Fabio Di Todaro
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