È ancora battaglia in Europa sulla quote relative alla pesca del tonno rosso. Il gruppo di esperti scientifici della Commissione internazionale per la conservazione dei tonni dell’Atlantico (Iccat), lo scorso 7 ottobre a Madrid, ha richiamato l’attenzione dei Paesi membri sulle quote, in vista della prossima riunione della Commissione, che si aprirà a Parigi il 17 novembre. Per garantire una ricostituzione di almeno il 60% dello stock dei tonni rossi nel 2022 – hanno sottolineato gli esperti – il livello delle catture totali annuali non dovrebbe superare le 13.500 tonnellate l’anno. Per salvare completamente la specie, la quota totale dovrebbe essere inferiore alle 6.000 tonnellate anno, la metà di quella attuale. Una cifra che l’industria ittica considera insufficiente a coprire le esigenze del mercato.

Intanto anche l’Unione europea ha avviato un confronto ministeriale per definire la posizione che dovrà assumere il 17 novembre, dove si deciderà il modo di operare  per i prossimi due anni. La commissaria  alla pesca Maria Damanaki, pur non sbilanciandosi in termini di cifre, ha dichiarato che l’obiettivo della Commissione è di ottenere la sostenibilità degli stock: “Teoricamente per raggiungere l’obiettivo di una buona condizione ambientale entro il 2020, nell’ambito della direttiva quadro sulla strategia marittima, dovremmo parlare di una quota di circa 6.000 tonnellate di tonni rossi”. Si tratta però di un’ipotesi poco gradita all’industria della pesca.

L’intervento della commissaria europea ha provocato una vera e propria alzata di scudi dei ministri del Sud dell’Europa – in prima linea Italia, Francia e Spagna – dove si pesca il tonno rosso. La posizione espressa dal ministro della pesca Giancarlo Galan è stata chiara: “Lo stock di tonno rosso si sta ricostituendo, ci sono più tonni di quanto abbiamo iniziato il periodo di protezione. L’Italia è quindi per il mantenimento degli impegni presi e per una quota di tonno rosso di 13.500 tonnellate”.

Critica la posizione di Greenpeace Italia. Giorgia Monti, responsabile della Campagna mare, ha dichiarato a “ilfattoalimentare.it”: “Il tonno rosso è una risorsa drammaticamente in crisi ed è diventato il simbolo di come la pesca sia stata gestita finora in maniera non sostenibile. Puntare alla ricostituzione del 60% della popolazione è rischioso, perché i dati sul pescato non sono certi e soprattutto non tengono conto del fenomeno della pesca illegale, molto sottovalutato. Per lo stesso motivo, anche il limite di 6000 tonnellate, definito come ottimale dalla comunità scientifica, ci sembra insufficiente, tanto più che non soddisferebbe nemmeno le esigenze dell’industria. Meglio allora chiudere la pesca per un periodo sufficiente alla ricostituzione integrale dello stock e nel frattempo lavorare alla riorganizzazione delle flotte”.

Secondo Monti, infatti, il numero dei pescherecci è aumentato enormemente negli ultimi anni, anche grazie ai finanziamenti europei. Inutile imporre dei limiti alla pesca se il numero delle barche è sovradimensionato: “Quest’anno – fa notare – i pescherecci italiani non sono usciti in mare. Il Governo li ha prudentemente tenuti fermi, avvalendosi dei sussidi europei. Altrimenti, con le quote stabilite dall’Ue, sarebbero stati costretti alla pesca illegale per sopravvivere”.

Infine, sottolinea Monti, “bisogna stabilire riserve marine in aree particolari, per esempio dove si sa che la specie si va a riprodurre, e lì vietare completamente la pesca. L’Iccat ha già identificato diverse aree nel Mediterraneo, come il Canale Sicilia e le isole Baleari. Ma le resistenze sono fortissime”.

 

Foto in alto: Opencage 

Foto in basso: Flickr cc

 

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