microplastiche

Microplastiche, ovvero frammenti di plastica di misura inferiore a 5 mm, anche nel sale da cucina. Una recente ricerca condotta su vasta scala e pubblicata da Environmental Science & Technology ha rilevato la sgradita presenza in 36 dei 39 campioni di sale da cucina analizzati, provenienti dai luoghi più disparati del pianeta, compresa l’Italia. L’indagine ha preso in esame non solo sale marino, ma anche di miniera e di lago. La ricerca conferma la gravità dell’inquinamento da plastica, ormai individuato in molti tipi di alimenti, compresi pesci, carne, frutti di mare, acqua del rubinetto, imbottigliata, bibite e ora anche sale. Sembra  impossibile sfuggire alla contaminazione.

Il lavoro è nato dalla collaborazione tra Greenpeace e l’Università di Incheon in Corea del Sud. I frammenti sono fatti di polietilene, polipropilene e polietilene tereftalato (Pet), ossia i tipi di plastica più comunemente utilizzati per imballaggi monouso. Occorre un’inversione di rotta a livello globale su produzione e utilizzo. È il parere di Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, che avvisa: “È necessario fermare l’inquinamento alla radice ed è fondamentale che le grandi aziende facciano la loro parte riducendo drasticamente l’impiego della plastica usa e getta per confezionare i loro prodotti”.

microplastiche
Il sale marino è il più contaminato da microplastiche. C’è una correlazione con l’inquinamento ambientale dell’area geografica di provenienza del sale

Lo studio ha messo in evidenza una correlazione tra il numero di particelle di microplastica per chilo di sale e il rilascio di plastica nell’ambiente nella stessa area geografica di provenienza del sale. I campioni asiatici sono risultati in media i più contaminati con un picco di 13 mila frammenti. L’Indonesia risulta essere seconda per l’apporto globale di plastica nei mari  con 0-1674 microparticelle per chilo, seguito dal sale dei laghi salati (28-462) e dal sale di miniera (0-148). Quello italiano, marino o di miniera, ha evidenziato una presenza variabile da 4 a 30 microparticelle per chilo.

Un adulto che introduce in media con la dieta 10 grammi di sale al giorno, potrebbe assumere inconsapevolmente in un anno circa 2 mila microplastiche. Kim Seung-Kyu, professore dell’Università di Incheon e autore dell’articolo avverte: “Per limitare la nostra esposizione sono necessarie misure preventive riguardo all’immissione di plastica in mare, una migliore gestione dei rifiuti in ambiente terrestre e, soprattutto, la riduzione della produzione di rifiuti in plastica”.

Accogliendo questa raccomandazione Greenpeace ha attivato una raccolta firme per rivolgere una petizione a grandi marchi come Coca-Cola, Pepsi, Nestlé, Ferrero, Unilever, San Benedetto, Procter & Gamble e McDonald’s, affinché riducano i contenitori e gli imballaggi in plastica monouso. Due milioni di persone in tutto il mondo hanno già aderito.

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Gianni
Gianni
10 Novembre 2018 16:16

Nell’articolo si parla anche di sale di miniera (salgemma?) In questo sale penso proprio non debbano esserci residui di plastica essendosi originato nei millenni o milioni di anni che hanno preceduto la comparsa dell’uomo e delle sue invenzioni. L’unico modo per salvarci è una decisione a livello planetario di abbandonare definitivamente la produzione delle plastiche che non si denaturano e di far sviluppare l’intelligenza vera dell’uomo.

Mario
Mario
10 Novembre 2018 17:20

Non penso che un recipiente di plastica, che rimane pur sempre da eliminare, sia l’origine di microplastiche. Esse si trovano nei cosmetici, nei dentifrici, negli shampoo, negli indumenti, persino nei teloni che coprono le macchine, ed in tantissimi altri prodotti. Ma perché, una buona volta non vengono proibite dette immissioni?

Luca
Luca
10 Novembre 2018 20:36

5mm sarebbero microplastische??? Pensavo sarebbbero stati dell’ordine di grandezza di micro-metri. Mah….

Roberto La Pira
Reply to  Luca
11 Novembre 2018 09:53

La definizione è questa

Mauro
Mauro
11 Novembre 2018 20:26

Bisogna tornare ai contenitori vuoto a rendere come era una volta il latte, l’acqua minerale eccetera.

MARCO
MARCO
12 Novembre 2018 08:45

Se pensiamo che produttori / grandi utilizzatori di plastiche raccolgano le nostre lamentele per ridurre i loro profitti, sarà una battaglia dura……e sopratutto,giusto lamentarci dei problemi del mondo della terra, ma poi spesso noi stessi non ci impegniamo,vedi rifiuti abbandonati in ogni luogo e senza rispetto per la terra in cui viviamo….

laura
laura
12 Novembre 2018 12:03

Da tempo seguo questo problema specialmente da quando ho saputo che sono state trovate microplastiche nei tumori al seno delle donne. Mio papà insegnante di materie plastiche e io sua allieva, nel 1983 asseriva che la plastica era una grande invenzione utile e comoda ma che sarà la nostra rovina ED AVEVA RAGIONE
Ho eliminato il possibile sostituendo contenitori in acciaio, vetro o ceramica
Raccomando a tutti di nn grattare o strofinare con pagliette o spugne abrasive nessun contenitore di plastica
Buongiorno

Lucia Pietra
Lucia Pietra
15 Novembre 2018 17:36

Tornare ad usare il vuoto a rendere ed eliminare la plastica degli imballi utilizzando materiale ecocompatibile e le borse della spesa in canapa

Costante
Costante
21 Novembre 2018 11:40

Ho già segnalato più volte in passato al Fatto Alimentare, per esperienza aziendale, come il sale non ricristallizzato sia regolarmente inquinato da residui di petrolio, microgranuli di minerale e quant’altro. Nessuna meraviglia quindi che contenga della plastica. Buona norma sarebbe che tutto il sale destinato all’alimentazione sia ottenuto con metodi di filtrazione delle acque e di ricristallizzazione adeguati rendendo obbligatorio per la commercializzazione un filth test. A memoria il sale che ho riscontrato più pulito è quello proveniente da salgemma ricristallizzato: i depositi di salgemma antichissimi non erano certo inquinati da residui petroliferi né da residui di plastiche .