Micro plastic.Small Plastic pellets on the finger. microplastiche frammenti plastica

Microplastic in a spoon on blue background. microplastic in water and food. Microplastic problem. Dangerous additives. Toxic substances.Nello scorso mese di febbraio i tedeschi preoccupati per le microplastiche nel cibo erano il 56% della popolazione. Il dato è segnalato dalla rilevazione Consumer Monitor che il BfR, l’istituto federale per la valutazione del rischio, realizza due volte all’anno. Nel mese di agosto 2019, la percentuale era salita di 7 punti, attestandosi al 63%. L’incremento aiuta a capire perché l’ istituto abbia deciso di dedicare il primo articolo della pubblicazione semestrale, BfR2GO, a questo tema. Ecco, in sintesi, i diversi aspetti affrontati.

Definizione: per quanto possa sembrare strano, neppure la definizione di microplastiche è chiara. Ne esistono di moltissimi tipi, a seconda del materiale di origine e dei processi di lavorazione. Anche sul diametro ci sono opinioni diverse: a seconda dei casi, va da 0,0001 a 5 millimetri. La divisione merceologica comprende due grandi famiglie: microplastiche primarie, realizzate intenzionalmente dall’uomo e rappresentate da granuli e pellet di polietilene (PE), polipropilene (PP), polistirene (PS), polietilene tereftalato (PET), polivinil cloruro (PVC), poliammide (nylon) e etilene vinil acetato (EVA)…, oppure secondarie, nate da reazioni chimiche innescate dalla degradazione per invecchiamento ed esposizione del materiale ad agenti atmosferici, chimici e fisici di sacchetti, pneumatici, bottiglie, materiali tessili e altro.

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Le microplastiche sono stata trovate ovunque: dalle acque marine all’intestino umano

Ubiquitarietà: come Il Fatto Alimentare ha documentato in numerosi articoli, il mondo è ormai intriso di microplastiche, che si trovano puntualmente ogni qualvolta le si vada a cercare. Le acque, il suolo, gli animali e l’uomo: nulla si salva, e poiché la produzione mondiale di plastiche è in aumento, non c’è aspettarsi un miglioramento a breve termine. Nel 2018 uno studio svolto dai ricercatori dell’Università di Vienna e coordinato dall’istituto per la sicurezza alimentare austriaco ha documentato la presenza di microplastiche nelle feci di persone residenti in Giappone e in Europa. Erano presenti in tutti i partecipanti, che tenevano un diario alimentare. Lo stesso vale, per alimenti come il miele, per le nevi di  diverse montagne. Restano però moltissimi aspetti da definire. Per esempio nei pesci: si sa che le microplastiche si accumulano nell’ intestino, che però quasi nessuno mangia. La domanda – per ora senza risposta – è: le microplastiche passano in altri tessuti del pesce e da lì all’uomo? Analogamente, per quanto riguarda le acque minerali, si sa che tutte contengono microplastiche, anche quelle in bottiglie di vetro. In questo caso la domanda è: da dove arrivano le microparticelle? Dai processi di lavorazione? Dai pigmenti delle etichette? Dai tappi? E che ruolo ha l’inalazione (per esempio di particelle derivanti dagli pneumatici, importante fonte di microplastiche secondarie, o dagli abiti, o dai cosmetici) nel quantitativo totale di microplastiche assorbite?

Metodi di analisi: disporre di sistemi di analisi uniformi e condivisi anche a livello internazionale è fondamentale per giungere a conclusioni comprensibili e traducibili in gesti concreti quali, per esempio, normative e leggi, ma per ora l’obiettivo è lontano. Ciò dipende dall’estrema eterogeneità delle microparticelle che, oltretutto, a parte casi specifici come le acque, si trovano disperse in materiali come gli alimenti che, a loro volta, sono complicate miscele. Per cercare di compiere passi in avanti nella definizione di metodi analitici unici, il BfR sta cooperando con diversi istituti di ricerca tedeschi e con le agenzie per la sicurezza alimentare danese (DTU) e francese (ANSES), cercando di capire quale sia il metodo migliore, più affidabile e applicabile ovunque.

laboratorio
Non esistono metodiche analitiche uniformi e condivise per individuare e quantificare le microplastiche

Effetti sulla salute: finora ci sono stati pochissimi studi, uno dei quali è stato condotto dallo stesso BfR nel 2018, su cellule intestinali di uomo e di topo. La conclusione è stata che il polistirene non sembra causare danni. Nulla si può dire sulle altre plastiche, né su sistemi complessi come un organismo, ben diverso da una coltura cellulare. Per iniziare a compiere indagini che si prolungheranno probabilmente per molti anni, l’Istituto ha dato vita a un gruppo di ricerca, che studierà anche i plastificanti (tra i quali rientrano molti interferenti endocrini come i bisfenoli), e gli additivi che  proteggono le plastiche dai raggi UV. Nella lista delle cose a fare c’è anche il  controllo degli effetti di agenti esterni presenti nell’ambiente come alcuni idrocarburi aromatici e fluorurati, delle nanoplastiche, deii batteri che possono restare attaccati alle microplastiche e formare biofilm la cui azione è del tutto ignota.

In generale, il BfR ritiene che non ci siano rischi elevati per la salute umana derivanti dalle microplastiche negli alimenti, così come l’OMS ritiene che non ve ne siano per quelle presenti nelle acque. Tuttavia è evidente che per il momento non sappiamo quasi nulla, e che si tratta quindi di opinioni giustificate dalla scarsità dei dati, che potrebbero essere modificate o ribaltate via via che gli studi consentiranno di esprimersi sulla base di evidenze ben più solide e complete di quelle disponibili oggi.

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gianni
gianni
11 Gennaio 2020 15:52

Non è condivisibile per me la neutra conclusione dell’articolo , credo soltanto che non si sia fatto abbastanza per avviare studi sul fenomeno delle microplastiche e nanoplastiche nella catena alimentare umana e animale , ignoriamo e quindi rimaniamo felicemente attaccati ai modelli esistenti.
Ho letto a proposito un articolo
https://www.greatitalianfoodtrade.it/salute/microplastiche-e-salute-umana-l-invisibile-male
a firma Paola Palestini e Dario Dongo sulla lentezza delle indagini in questo campo.

Chiara
Chiara
14 Gennaio 2020 13:34

Non avere conoscenza degli effetti avversi di alcune sostanze e concludere che non siano nocive ,oltre che essere un comportmento molto poco intelligente soprattutto per uno scienziato e’ anche per niente corretto sia dal punto di vista scientifico che nei confronti della gente.Lo stesso dicevano dei pesticidi ,anni fa quando ancor non c’erano certezze.Ora alcuni pesticidi sono classificati fra I cancerogeni e interferenti endocrini e lo stesso e’ stato detto per molte altre sostanze che solo dopo anni si sono rivelate nocive .Solo un paio di anni fa la commissione europea ha proibito l’utilizzo di moltissime sostanze chimiche di sintesi nei cosmetici o prodotti.per la casa ,perche’ classificate come interferenti endocrini.Quelle stesse sostanze sono sate permesse e utilizzate diffusamente per decenni da tutti noi , perche’ considerate innocue .
Si potrebbe stilare un elenco di esempi di quello che per ignoranza e’ sempre stato considerato non nocivo e poi solo a posteriosi rivelatosi tale.
Gli interferenti endocrini come dice la parola stessa,sono sostanze che interferiscono e quindi disturbano Il sistema endocrino ,cioe’ il sistema ormonale che e’ FONDAMENTALE per il funzionamento di tutti gli organi e apparati .

Roberto La Pira
Reply to  Chiara
14 Gennaio 2020 17:57

Quello che dice è vero e per tutelare i cittadini in Europa esiste il principio di precauzione che funziona ma a volte per avere certezze sulla tossicità di un principio attivo occorrono anni e le lobby riescono spesso a ritardare l’adozione di alcuni divieti.

giulia
giulia
31 Gennaio 2020 08:20

Buongiorno,
soltanto una banale riflessione personale…
A parlare e accusare siamo tutti sempre bravissimi… a parole ci diciamo tutti d’accordo per la causa ambientalista e per salvare il mondo… e magari abbiamo cominciato ad usare le borracce al posto delle bottiglie di plastica, ad andare a piedi che fa pure meglio alla salute altre che al pianeta… ma… chi sarebbe veramente disposto a rinunciare alle comodità ed ai privilegi acquisiti oggi in favore di interventi veramente incisivi per salvare il mondo? mi spiego meglio… quanti dei giovani manifestanti in piazza per salvare il mondo sarebbero disposti a rinunciare al telefonino all’ultima moda o alla tv in streaming o al world wild web che in effetti un bell’impatto sull’ambiente lo hanno ecome anche se nessuno ne parla?… tutti a favore del km zero ma quanto poi disposti a rinunciare alle ferie (potendosele permettere ovviamente) che inquinano altrettanto? eliminiamo gli imballaggi di plastica… ma quando poi al supermercato il costo di un prodotto aumenta di conseguenza facciamo le rivoluzioni…. solo alcuni esempi che mi rendo conto non del tutto pertinenti nè corretti ma che spero facciano riflettere…. scusate… non mi piace l’ipocrisia… (ben chiaro nessun riferimento specifico a questi commenti e questo articolo in particolare… )