Microbioma italiano, Wellmicro, Natgene, e MyMicrobiota sono alcuni dei siti internet che offrono test del microbioma come strumenti per conoscere lo stato di salute dell’intestino e avere informazioni su alcune condizioni patologiche correlate. Anche se spesso i due termini sono utilizzati come sinonimi, il microbiota indica la totalità dei microrganismi che popolano l’intestino, mentre il termine microbioma è riferito all’insieme dei loro geni (genoma). Questo pool di microrganismi può comprendere fino a mille specie e riveste  funzioni importanti: demolisce le molecole degli alimenti che non sono state attaccate dagli enzimi digestivi, produce sostanze utili (come alcune vitamine), sostiene l’attività del sistema immunitario e protegge l’intestino dall’azione di batteri patogeni.

Si è visto inoltre che un microbiota alterato favorisce la comparsa di condizioni come obesità, malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2. Secondo studi recenti, le alterazioni del microbiota sarebbero connesse anche a malattie neurologiche, come la sindrome di Parkinson. La composizione dipende da numerosi fattori, come quelli ambientali, genetici, l’alimentazione e l’impiego di farmaci.

Mentre si moltiplicano le ricerche mirate a chiarire queste correlazioni, si rendono disponibili metodi per valutare lo “stato di salute” del microbiota. Si tratta di procedure proposte come semplici test, che chiunque può acquistare in rete, spendendo di solito 200-300 euro.

Chi acquista questi test riceve un kit per il prelievo di un campione di feci che poi viene spedito all’istituto che si occupa delle analisi genetiche e definisce le caratteristiche. Insieme al prelievo vengono raccolte informazioni sullo stile di vita e l’alimentazione del cliente che, dopo alcune settimane, riceve il referto. Questo comprende la descrizione delle famiglie batteriche e un commento di uno specialista, accompagnato da raccomandazioni sull’alimentazione o l’uso di integratori.

Quali informazioni possiamo effettivamente avere da queste analisi? Lo abbiamo chiesto a Enzo Spisni, fisiologo della nutrizione presso l’Università di Bologna.

“Il primo dato che si ottiene dai test riguarda la diversità complessiva dei microrganismi, che se è elevata rappresenta un aspetto “positivo”. – Dice Spisni – È poi importante considerare i rapporti fra le diverse famiglie batteriche (per esempio quelle aerobiche e quelle anaerobiche) e la presenza di particolari generi di batteri che le conoscenze attuali permettono di associare a condizioni “favorevoli” oppure “sfavorevoli” per la salute. Le proporzioni fra le diverse famiglie batteriche, riferite a una teorica situazione ideale, permettono di individuare un eventuale stato di “disbiosi”, cioè uno spostamento verso condizioni che favoriscono la comparsa di infiammazioni o patologie”.

Microbioma
Esempio di grafico che rappresenta le famiglie batteriche principali (fonte Biomaplan.it).

“Oltre a questo – continua Spisni – si vanno a cercare le specie batteriche che sono in grado di produrre tossine e quindi rivestono un potenziale ruolo di patogeni. Esistono ricchi data-base che descrivono il microbioma di popolazioni diverse, e riguardano sia individui sani che affetti da specifiche patologie. Questi dati, insieme agli studi sperimentali, permettono di fornire una descrizione precisa del microbiota di chi si sottopone al test, soprattutto quando ci si rivolge a laboratori collegati a strutture universitarie, che fanno riferimento a informazioni più aggiornate”.

A chi si può consigliare?

“Chi si trova in buona salute non ha nessun bisogno di fare un test di questo tipo – sottolinea Spisni – che invece può essere utile per fare una diagnosi accurata di disturbi dell’apparato digerente, altrimenti difficili da determinare. Bisogna avere chiaro che, in tutti i casi, il referto deve essere interpretato da uno specialista che conosca la situazione complessiva del paziente. Solo un esperto sarà in grado di fornire specifiche prescrizioni di tipo dietetico o farmaceutico. Non sempre però dall’esito è possibile individuare precise indicazioni, perché l’argomento è estremamente complesso e i fattori che interagiscono sono molto numerosi”.

Insomma, il test, preso da solo, non può bastare per risolvere un disagio o una situazione patologica. Per questo le indicazioni nutrizionali che accompagnano i referti nella maggior parte dei casi si limitano a raccomandazioni di “buon senso” come quelle di evitare gli alcolici e i fritti.

Lo stesso vale, in buona parte, per altri test attualmente disponibili, come quelli genetici di nutrigenomica (per esempio questi). In questo caso si analizza il Dna delle cellule della mucosa orale, prelevate con un tampone di saliva. Si cercano varianti di geni coinvolti nel metabolismo delle vitamine, dei lipidi o dei carboidrati per individuare la predisposizione a particolari condizioni patologiche e sviluppare indicazioni dietetiche personalizzate. L’idea, insomma, è quella di personalizzare la dieta partendo dalle caratteristiche genetiche. In questo modo si può, per esempio, individuare l’intolleranza al lattosio, che è una condizione genetica.

L’interpretazione è ancora più “delicata” di quanto abbiamo visto per il microbioma – dice Spisni – perché il fatto di possedere una certa variante genetica non determina, in individui diversi, lo stesso risultato fisiologico. Nel caso dell’intolleranza al lattosio, per esempio, può capitare di essere geneticamente “tolleranti” ma di aver “perso” l’enzima per digerire il lattosio perché si è smesso di consumare latte. Viceversa, persone geneticamente “intolleranti” (quando questa intolleranza è di tipo lieve) possono consumare tranquillamente un bicchiere di latte al giorno se le loro abitudini alimentari stimolano la produzione dell’enzima necessario. In questi casi una lettura semplicistica dei referti potrebbe indurre a scelte alimentari inutili o dannose. Per questo è importante che sia un professionista a leggere e interpretare questi test, e non deve essere un percorso “fai da te”.

agricoltura biologica bio verdura fagiolini“Un test più preciso – continua l’esperto – è quello della “lipidomica” che però fornisce informazioni più limitate. Sono proposti solamente da specialisti e considerano la composizione dei grassi che formano la membrana dei globuli rossi. Siccome queste cellule hanno vita breve (quattro mesi) e vengono continuamente rinnovate, la struttura lipidica della membrana cellulare rispecchia il tipo di grassi assunti con l’alimentazione nello stesso periodo. Analizzando i lipidi dei globuli rossi è possibile avere un quadro piuttosto definito dell’alimentazione di una persona, in termini di grassi, valutare eventuali squilibri correlati, per esempio, al rischio cardiovascolare e fornire consigli adeguati”.

“In tutti i casi – conclude Spisni – se vengono effettuati da aziende serie, con metodiche validate, questi test rappresentano un giusto tentativo di andare verso la personalizzazione delle diete, perché è ovvio che non può esistere una sola dieta perfetta per tutti. Però, nessuno di questi test è di semplice interpretazione per l’utente finale, che quasi mai è in grado in modo autonomo di trarre conseguenze corrette relative al proprio regime alimentare. Per far questo ha bisogno di un mediatore, che è l’esperto, medico o nutrizionista. Ricordiamo infine che nemmeno il mondo scientifico è fornito di tutte le risposte che sarebbero necessarie; inoltre qualsiasi modifica al regime alimentare, effettuata in base agli esiti di uno di questi test, deve tener conto di eventuali patologie già presenti nel soggetto che si sottopone a questo tipo di analisi”.

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Michele Sculati
Michele Sculati
6 Maggio 2020 15:31

Articolo interessante, tuttavia i test menzionati ad oggi non hanno alcun valore diagnostico, come ricorda in una recente intervista Joël Doré ( Research Director at the French National Research Institute for Agriculture, Food and the Environment). Forse saranno il futuro, sarebbe preferibile venissero utilizzati in ambito di ricerca in modo da capire bene come utilizzarli al meglio, mentre la loro declinazione commerciale, direttamente al consumatore, è evidente visitando i siti dei test menzionati nell’articolo.

Mauro
Mauro
9 Maggio 2020 11:20

Fermo restando che qualunque esame clinico, da quelli classici di sangue e urina a quelli più nuovi come quello del microbioma devono essere letti e interpretati da un medico, e preferibilmente dal nostro medico di famiglia che conosce da anni noi e la nostra storia, leggendo che chi invia i campioni e paga 2-300 Euro per l’analisi

“riceve il referto (…) accompagnato da raccomandazioni sull’alimentazione o L’USO DI INTEGRATORI”

a me sorge immediato il dubbio che i siti on line possano avere interessi incrociati con chi gli integratori li vende e ci campa sopra, raccomandandoli come toccasana per tutto, dal cancro all’unghia incarnita, e che quindi le loro “raccomandazioni” siano da prendere con le molle a prescidere dalle personali competenze…

Valeria Balboni
Valeria Balboni
Reply to  Mauro
9 Maggio 2020 17:14

Gentile Mauro,
queste aziende vendono i test quindi è chiaro che c’è un interesse commerciale. Nell’articolo si ribadisce l’importanza del ruolo del medico, per sottolineare che non sono analisi da gestire in modo autonomo e perché solo un esperto può aiutarci a distinguere i laboratori più serii da quelli meno qualificati.