Il gruppo di macellai e amici lavora in un macello e taglia carne cruda

carne macelloLa scoperta di nuovi focolai di Sars-Cov 2 nei macelli e negli impianti di lavorazione delle carni è diventata, nelle ultime settimane, una nuova emergenza sul fronte Covid 19, e dal momento che cluster di infetti sono stati riscontrati in diversi paesi, è giunto il momento di prendere provvedimenti energici. Così la pensano John Middleton, della Wolverhampton University inglese, Ralf Reintjes, di Hamburgo (Germania) ed Henrique Lopes, della Unit of Public Health, Healthcare Sciences Institute della Universidade Católica di Lisbona, in, Portogallo, autori di un editoriale congiunto pubblicato nei giorni scorsi sul British Medical Journal.

Una delle situazioni peggiori, ricordano, è quella che si è verificata in Germania, a Gütersloh, in Nord Reno-Westfalia dove più di 1.500 lavoratori su 7.000 sono risultati positivi e dove per questo 640.000 abitanti della zona sono tornati in lockdown. In Portogallo è successa la stessa cosa in uno degli impianti di lavorazione dei polli più grandi del paese, dove 129 addetti su 300 si sono ammalati, dove lo stabilimento è rimasto chiuso per settimane e dove sono stati controllati tutti coloro che vi lavoravano ed effettuate operazioni di disinfezione profonda. Analogamente, in Gran Bretagna e Galles ci sono stati nuovi focolai in aziende di Anglesey, Merthyr Tydfil, Wrexham, e Kirklees. Lo stesso è successo in altri paesi, Italia compresa.

Quali sono i fattori che contribuiscono alla proliferazione del coronavirus in mezzo alle carni? Perché si ripetono questi episodi? Innanzitutto per le basse temperature e l’umidità elevata, molto amate dal coronavirus. Poi le superfici metalliche, perché è stato dimostrato che, su di esse, il Sars-Cov2 resta in vita molto meglio che su altri tipi di supporti.

Inoltre nei macelli e negli impianti di lavorazione si produce molto aerosol, che si combina con la polvere, gli escrementi e le piume, fino a dare un mix micidiale favorito anche dal grande consumo di acqua sulle superfici. Sul tutto, i lavoratori vivono in un rumore molto elevato, devono quasi sempre urlare per comunicare e, così facendo, diffondono altre droplets, in ambienti spesso affollati e nei quali, per i passaggi delle lavorazioni, mantenere le distanze è quasi impossibile.

macello macellare industria alimentare carne carcasse proteine allevamento macelliOltre a ciò gli impianti di ventilazione sono sovente inadeguati (e non a caso hanno avuto un ruolo nel caso tedesco). C’è poi il fattore umano: i lavoratori sono spesso giovani e quindi, più degli anziani, asintomatici, non sempre assunti regolarmente e poco propensi a rivolgersi a un medico per timore delle conseguenze, costretti a vivere in alloggi affollati, dove non è possibile mantenere condizioni igieniche adeguate, e a recarsi al lavoro sui mezzi pubblici.

Per quanto riguarda la prevenzione, scrivono ancora gli autori, le aziende dovrebbero fare di più, a cominciare da una valutazione del rischio specifico dei loro impianti e da una programmazione gerarchica degli interventi più urgenti. Tra questi ultimi ci dovrebbe essere una migliore distribuzione degli accessi (per esempio con turni più distanziati nel tempo), la riduzione degli affollamenti con l’introduzione di camere di compensazione e distanziamento, l’installazione di barriere tra i lavoratori, soprattutto nelle catene di lavorazione. Inoltre tutti i lavoratori dovrebbero essere controllati per i sintomi sia all’arrivo che all’uscita dai turni e, se colpiti da sintomi sospetti, immediatamente isolati.

Si dovrebbero poi prendere in considerazione cambiamenti importanti quali la riduzione della lavorazione soprattutto delle carcasse, e misure come l’obbligo di indossare visiere e mascherine, installare dispositivi touchless e rendere obbligatorie procedure di disinfezione e pulizia. Nel contempo, sarebbe necessario distribuire materiale educativo culturalmente adeguato (per esempio in diverse lingue) e rendere obbligatorio l’impiego di mascherine e altri dispositivi per coloro che trasportano le carni sul territorio. Infine, bisognerebbe convincere i lavoratori a restare a casa se malati e a dichiarare i propri sintomi, assicurando loro una retribuzione adeguata anche se sono in malattia.

Le autorità sanitarie locali, naturalmente, dovrebbero fare la loro parte e cioè lavorare con le aziende, con i sindacati, con chi si occupa di salute dei lavoratori e con i servizi di prevenzione sanitaria, laddove presenti. Inoltre dovrebbero avere sempre pronti piani per le emergenze che comprendano l’esecuzione rapida e completa di tamponi e test e il tracciamento dei contatti. Le aziende hanno il dovere di collaborare e di pensare a qualcosa che non sia solo il proprio business, scrivono gli autori.
L’epidemia sta continuando la sua corsa, concludono, e macelli e impianti di lavorazione hanno disvelato grandi sfruttamenti e ingiustizia sociale, e rappresentano realtà particolarmente a rischio, che si sommano la fatto che la lavorazione industriale della carne, per come è strutturata oggi, contribuisce in misura determinante alla diffusione della resistenza agli antibiotici e al cambiamento climatico. Tutti dobbiamo riflettere su questo, su quanto siamo disposti a pagare la carne per modificare la situazione e su quali condizioni sopportate da animali e lavoratori possiamo o meno considerare accettabili.

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Luigi
Luigi
21 Luglio 2020 11:37

Quindi secondo lei l’industria della carne è l’origine dei mali peggiori del mondo. Il suo articolo è molto giornalistico ma, mi permetta, poco scientifico.

Luigi

Alessandra Benvenuti
Alessandra Benvenuti
Reply to  Luigi
21 Luglio 2020 15:21

Ormai si sa che l’industria legata alla produzione di carne è una delle industrie più inquinanti oltre a favoriee la distruzione di foreste ed ecosistemi…Senza contare la sofferenza degli animali da allevamenti.
Ma chi non vuole rinunciare alla carne negherà sempre quella che ormai è diventata un’evidenza

agnese codignola
agnese codignola
21 Luglio 2020 17:34

Non è “secondo me”: è il resoconto di un editoriale firmato da esperti internazionali e pubblicato su una delle riviste scientifiche più autorevoli del mondo. Il quale, peraltro, riprende criticità sottolineate da molte agenzie governative e altre font altrettanto autorevoli. Non si tratta, e non si dovrebbe mai trattare, di indicare un nemico: troppo facile, e mai del tutto vero. Solo, si sottolineano le criticità

simon
simon
25 Luglio 2020 10:04

si sono “dimenticati” di dire che i lavoratori in quel settore (come anche in Italia) sono prevalentemente stranieri extracomunitari che norme igieniche o distanziamento sociale non rispettano nel modo più assoluto

Valeria Nardi
Reply to  simon
25 Luglio 2020 14:54

Il rispetto del distanziamento fisico non sempre è una scelta percorribile. Come abbiamo riportato in un altro articolo: “Il settore europeo della carne dipende dallo sfruttamento della manodopera immigrata sia extracomunitaria, sia proveniente da altri paesi dell’Unione, in particolare quelli dell’Est. Questi lavoratori spesso sono costretti ad accettare turni massacranti e gli incarichi più faticosi, e sono assunti attraverso intermediari, imprese subappaltatrici e cooperative, con contratti che offrono scarse tutele e stipendi inferiori anche del 50% rispetto ai dipendenti impiegati direttamente delle aziende di lavorazione della carne.

Ad aumentare il rischio contagio tra i dipendenti dei mattatoi concorrono una serie di fattori, in primo luogo la difficoltà a mantenere il distanziamento fisico sul lavoro, e gli ambienti freddi, con un ricambio d’aria insufficiente che favoriscono la diffusione del coronavirus. Su questo fronte non ha aiutato, di sicuro, il calo dei controlli verificatosi – comprensibilmente – durante i mesi di lockdown. Altri fattori che hanno favorito la nascita di focolai tra i dipendenti degli impianti di lavorazione della carne sono le condizioni degli alloggi in cui vivono i dipendenti stranieri, spesso sovraffollati, e l’uso di mezzi di trasporto comuni per raggiungere il luogo di lavoro con lo scopo di abbattere i costi di spostamento.” https://ilfattoalimentare.it/macelli-covid-19-sfruttamento.html