Polli in un allevamento intensivo

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Il rischio che l’influenza aviaria si sposti fino a coinvolgere i Paesi europei è elevato. È questo il parere dell’Efsa che in un aggiornamento scientifico sul problema, evidenzia come il virus si stia diffondendo rapidamente in tutto il continente. Nel mese scorso sono stati segnalati oltre 300 casi in Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito. La maggior parte degli episodi sono stati rinvenuti in uccelli selvatici, anche se ci sono stati alcuni focolai occasionali nel pollame allevato. Il nuovo rapporto dà come alta la probabilità che il virus migri dagli uccelli selvatici al pollame.

In una precedente valutazione, l’Efsa aveva avvertito che l’influenza aviaria ad alta patogenicità (Hpai) avrebbe potuto diffondersi rapidamente in Europa occidentale a seguito dei focolai che l’estate scorsa hanno interessato uccelli selvatici e pollame nella Russia occidentale e nel Kazakistan. La zona è infatti una rotta di migrazione autunnale degli uccelli acquatici selvatici che transitano diretti in Europa. C’è il rischio che un improvviso e duraturo calo delle temperature nell’area inneschi il dilagare del virus (diversi studi hanno evidenziato che durante le ondate 2005-2006 e 2016-2017 il freddo portò alla rapida propagazione verso ovest tramite uccelli migratori infetti). Finora non è stato segnalato alcun nuovo focolaio nell’uomo, anche perché il rischio di trasmissione resta molto basso. Tuttavia l’evoluzione di questi virus dev’essere monitorata attentamente per valutare il rischio concreto di un’eventuale trasmissione.

influenza aviaria
Il nuovo rapporto Efsa dà come alta la probabilità che il virus migri dagli uccelli selvatici al pollame.

Nik Kriz, responsabile dell’Unità Efsa “Salute animale e vegetale”, ha dichiarato: “Per prevenire un’ulteriore escalation di questi focolai sarà necessaria una stretta collaborazione tra le autorità competenti in materia di salute animale, pubblica, ambientale e occupazionale, in altre parole occorrerà un approccio globale (“One Health”) in tutta Europa”. I competenti enti nazionali sono esortati a continuare a esercitare la sorveglianza sugli uccelli selvatici e sul pollame, e a mettere in atto misure di controllo per prevenire il contatto dell’uomo con uccelli infetti o morti. Si consiglia inoltre agli Stati membri di applicare nelle zone ad alto rischio le misure di incremento della biosicurezza prescritte dalla Decisione di esecuzione (UE) 2018/1136 della Commissione.

La condivisione di sequenze complete del genoma virale è fondamentale affinché le autorità possano individuare prontamente l’emergere di nuovi virus o di mutazioni genetiche con proprietà di rilievo per la salute animale e pubblica. Il rapporto è stato elaborato in collaborazione con il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) e il Laboratorio europeo di riferimento per l’influenza aviaria.

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gianni
gianni
28 Novembre 2020 19:23

Chissà se qualche altro lettore si rende conto del casino in cui ci troviamo rispetto alle influenze aviarie che negli ultimi decenni ci tallonano in ondate sempre più frequenti,per esempio in Italia dal 2016 non è passato anno senza che non ci sia stato qualche episodio significativo.
Il nostro vantaggio al momento è legato alla scarsa trasmissibilità all’uomo, giustamente scarsa ma non completamente nulla…..e anche i maiali hanno recettori per i virus aviari.
La FAO dice che possiamo stare tranquilli, non ci sono collegamenti evidenti tra allevamenti di animali da carne e il sars-cov2 , attualmente vero ma è una parziale buona notizia , detti animali hanno già un mucchio di guai anche senza questo, e non conduciamo noi le danze ma subiamo e dobbiamo stare molto in difesa, ancora.
Quello che vorrei chiarire è che le conoscenze scientifiche indubbiamente sono sempre più avanzate, utilizzando dispiegamento enorme di persone e mezzi finora impensabili, le evidenze ambientali ed epidemiologiche però raccontano un’altra diversa storia, ancora.