Gruppo di maiali in un allevamento intensivo; concept: suini

Il 19 ottobre la Commissione europea ha annunciato l’intenzione di proporre una “sospensione temporanea della clonazione animale a scopo alimentare” in UE. Cinque anni di stand-by, estesi all’utilizzo di animali d’allevamento clonati e alla commercializzazione di cibi da animali clonati. La Commissione intende poi introdurre un sistema di tracciabilità per le importazioni di materiale riproduttivo da cloni (es. sperma, embrioni), in vista della creazione di una apposita banca-dati.

Sorgono alcuni dubbi. Avevamo appena saputo dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare che gli alimenti da animali clonati, dal punto di vista della sicurezza, sono equiparabili a quelli convenzionali. La Commissione infatti riconosce che non vi sono riscontri scientifici a conferma di eventuali preoccupazioni sulla sicurezza alimentare.

Ma la scienza non basta. Il commissario maltese responsabile per la salute e la politica dei consumatori, John Dalli, tenuto conto “dell’elemento etico legato alla clonazione”, vuole sospendere ogni decisione sino alla prossima legislatura.

Il primo rischio che si intravede in questa proposta è quello di assistere ancora una volta non solo alla fuga dei cervelli, ma anche alla delocalizzazione dei centri di ricerca in Paesi dove la clonazione è ammessa. È vero che la clonazione non verrebbe sospesa per utilizzi diversi dall’alimentazione (per esempio, la conservazione delle specie in via di estinzione o l’utilizzo di animali per realizzare prodotti farmaceutici). Ma è anche vero che alcuni Paesi terzi stanno già utilizzando la clonazione anche per produrre animali da allevamento.

animali clonatiNe consegue un secondo rischio. Che – a prescindere da ogni “dilemma etico” – le filiere produttive dei Paesi terzi si avvantaggino nella competizione con i loro concorrenti europei. Come? Grazie alla riproduzione con metodo tradizionale di animali che derivano da cloni animali, vale a dire specie selezionate con tecnologie all’avanguardia.

C’è poi un terzo rischio: i prodotti alimentari realizzati dalle progenie di animali clonati (difficili, se non impossibili da distinguersi rispetto ai corrispondenti “tradizionali”) potranno venire liberamente immessi sul mercato UE. Il legislatore europeo potrebbe provare a vietarne l’ingresso, ma inutilmente: il Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio) non ammette infatti ostacoli al commercio tra gli Stati aderenti quando non ci siano prove scientifiche in grado di giustificare i divieti. Oltre al danno, la beffa.

Non è fantascienza. Simili rischi si sono già materializzati in altri settori che pure avevano stimolato “tabù” e questioni etiche. In Italia l’energia nucleare non si produce ma la si compra a caro prezzo dai vicini d’Oltralpe, senza poter controllare pericoli che pure interessano il nostro territorio. Ancora, in Europa circolano liberamente alimenti e mangimi Ogm che solo in alcuni Paesi e Regioni è ammesso coltivare.

E allora: perché non provare questa volta a farsi coraggio, approfondire la questione sulla base dei dati scientifici e assumere decisioni coerenti? Cercare di capire se si tratta di una gallina dalle uova d’oro o di Franken-eggs, anziché nascondere la testa nella sabbia e rinviare ai posteri?

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