imballaggi di plastica per il sottovuoto

piatti carta compostabile usa e getta plastica packagingUno studio dell’Agenzia svedese per le sostanze chimiche (Kemi), avverte che è necessario tenere alta l’attenzione su imballaggi alimentari e prodotti in carta e cartone destinati al contatto con il cibo. L’agenzia, sottoponendo a prove di laboratorio questi imballaggi, ha rilevato la presenza, in quantità inaspettate di diversi contaminanti come il bisfenolo A (*) e gli ftalati (**). Si tratta di una criticità che, stando allo studio, interesserebbe l’80% dei campioni analizzati. Tra i prodotti sottoposti a test compaiono confezioni per: hamburger, patatine fritte e popcorn, cannucce, piatti ma anche involucri per muffin, imballaggi per diversi prodotti alimentari come cereali per bambini e confezioni di biscotti. Dei 61 materiali di imballaggio testati, ben 49 contengono Dehp (Ftalato di bis (2-etilesile), noto interferente endocrino e classificato come tossico per la riproduzione. Nell’elenco troviamo anche il Dbp (Dibutilftalato), anch’esso riscontrato in buona parte della campionatura analizzata seppur in concentrazioni più basse.

Si tratta di sostanze il cui utilizzo è vietato in Europa in prodotti come giocattoli e articoli per l’infanzia data la loro pericolosità, ma che tuttavia possono essere usate per produrre plastiche destinate a entrare in contatto con gli alimenti, secondo l’attuale Regolamento sui polimeri. In  altre parole, per quanto strano possa sembrare, l’uso di Dehp e Dbp non è contro la legge. È solo l’eventuale migrazione nell’alimento ad essere regolamentata. Il problema si allarga a macchia d’olio se si considera che molti degli articoli analizzati, al termine della propria vita utile, vengono riciclati: ciò significa che finiscono in questo ciclo di recupero anche le sostanze chimiche tossiche che l’agenzia svedese ha rilevato. Riscontrata anche la presenza di Bisfenolo A, altro importante contaminante e da tempo fonte di discussione tra le agenzie per la sicurezza alimentare dei diversi Stati membri.

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La Francia ha da tempo iniziato una campagna contro gli interferenti endocrini

Questi test sono stati effettuati dalle autorità svedesi, ma non c’è motivo di credere che le cose siano diverse negli altri Paesi. La maggior parte dei prodotti oggi sono fabbricati in catene di fornitura globali e distribuiti in tutto il mondo. In questo contesto vi sono Paesi che si stanno muovendo autonomamente per tutelare i propri cittadini. È il caso della Francia che, dopo aver posto un bando nazionale alla presenza di Bpa in tutti i materiali a contatto con alimenti (slegandosi di fatto dalle disposizioni armonizzate europee), ha recentemente proposto un progetto di legge volto a fornire trasparenza sui prodotti chimici che alterano il sistema endocrino (gli interferenti endocrini) nei prodotti di consumo, tra cui i materiali a contatto con alimenti.

Secondo la bozza di decreto, che dovrebbe entrare in vigore il 1° gennaio 2022, chi commercializza prodotti di consumo dovrà dichiarare su apposita piattaforma digitale pubblica, la presenza nei propri prodotti di eventuali interferenti endocrini. L’obbiettivo è fornire ai cittadini informazioni trasparenti sulla presenza di tali composti. Potrebbe tra l’altro essere valutata la possibilità di inserire queste informazioni direttamente in etichetta.

Tuttavia, anche la Commissione Europea non rimarrà solo spettatrice immobile di questa situazione che presenta un quadro legislativo evidentemente carente sotto molteplici aspetti. La Commissione si accinge finalmente a riformare le regole sulla sicurezza dei materiali a contatto con alimenti, e vi è in atto l’ipotesi di revisione del Regolamento quadro 1935/2004.

(*) Il Bisfenolo A (BPA) è prodotto sin dagli anni ’60 dello scorso secolo ed è una sostanza chimica molto utilizzata in tutti i paesi industrializzati. È impiegato nella produzione delle plastiche in policarbonato (molto diffuse per le proprietà di trasparenza, resistenza termica e meccanica), utilizzate nei recipienti per uso alimentare, e nelle resine epossidiche che compongono il rivestimento protettivo interno presente nella maggior parte delle lattine per alimenti e bevande.

(**) Gli ftalati sono sostanze chimiche utilizzate per ammorbidire (o “plastificare”) alcuni materiali usati in una serie di prodotti industriali e di consumo tra cui materiali a contatto con alimenti come il Pvc.

© Riproduzione riservata. Foto: stock.adobe.com

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gianni
gianni
12 Febbraio 2021 14:26

Da fonti di informazione canadesi si apprende che la ditta produttrice del C6O4 ( che interessa parecchio anche l’ambiente italiano) stia intralciando la produzione e vendita di kit di rilevamento di detta sostanza pericolosa accampando la difesa del brevetto.
Insomma a detta di questa enorme azienda gli operatori ambientali non possono fare indagini mirate alla ricerca per non infrangere la proprietà intellettuale…incredibile ma vero, se passa questo principio allora è finita.
Quindi per EFSA c’è del lavoro da fare ammesso che invece non si cerchi di normalizzare un inquinamento ormai inarrestabile, cercando perfino di sminuire la pericolosità degli interferenti.

Sergio Emanuele Nestori
Sergio Emanuele Nestori
6 Marzo 2021 10:50

A mio parere è molto interessante analizzare l’approccio che stanno adottando questi studi
Tutti gli “studi” di questo tipo affermano l’esistenza di un problema , ma mai fanno un’analisi del perchè esista il problema e soprattutto come risolverlo
Dai miei ormai lontanissimi ricordi universitari , mi risulta che la materia non si crei dal nulla . quindi la domanda principale dovrebbe essere : perchè queste sostanze sono presenti negli imballi in carta e cartone ?
Se non ci poniamo questa domanda , ululare alla luna non serve ad alcunché, se non a rimpolpare il nostro smisurato ego di “esperti di settore”
I contaminanti sono introdotti come additivi in produzione ?
I contaminanti arrivano dall’uso incontrollato di materiale post consumo ?
La catena di responsabilità di filiera non funziona?
Questi prodotti sono ubiquitari negli ambienti e quindi li troviamo dappertutto ivi compresi nei solventi utilizzati nei laboratori analitici ?
Se non diamo una risposta a queste domande lamentarci è inutile
Io personalmente non conosco le risposte , potrei fare solo delle ipotesi con valenza prossima allo zero, dovrebbero essere le autorità che gestiscono la sicurezza alimentare a fare questo tipo di studio e capire la fonte reale
Poi di conseguenza introdurre leggi e regolamenti

Riccardo Benedini
Riccardo Benedini
8 Marzo 2021 09:18

Interessante. Dall’articolo non è chiaro se lo studio/problema riguardi specificatamente carta e cartone (come sembrerebbe dal primo paragrafo) o anche plastiche (secondo paragrafo). Sarebbe interessante avere informazioni più precise in merito. Grazie.

luigiR
luigiR
8 Marzo 2021 14:50

avendo seguìto la faccenda degli interferenti endocrini da un po’ di tempo (non in qualità di esperto, ma di semplice consumatore), posso affermare che questi materiali sono presenti su molti tipi di superfici a contatto con cibi lavorati e confezionati, come carte, cartoni, plastiche e metalli (lattine e coperchi di barattoli), perché, secondo le originarie convinzioni, assicuravano la preservazione degli alimenti da qualsiasi contaminazione, rendendo, al contempo, le confezioni di plastica più morbide e funzionali alle esigenze di mercato. a mio modo di vedere, alla luce delle nuove evidenze scientifiche, sarebbe il caso di investire molto di più sulla ricerca, per trovare dei sostituti naturali a queste sostanze che, a tutti gli effetti, sono da considerare un pericolo per la salute, specialmente per quanto più sia giovane l’età dei consumatori che, inconsapevolmente, ne introducano con l’alimentazione.