incendio foresta

Gli incendi in Amazzonia e, più in generale in Sud America, sono stati al centro dell’attenzione di tutto il mondo durante il mese di agosto. Ma quali sono le responsabilità dell’industria alimentare nella distruzione della foresta tropicale? Ne parla un articolo di Corrado Fontana pubblicato da Valori, che vi proponiamo integralmente.

L’articolo di Valori

L’Amazzonia e la sua foresta devastata dagli incendi. Nel corso del mese di agosto, migliaia di roghi hanno alimentato le polemiche internazionali e le prese di posizioni, tanto dei gruppi ambientalisti internazionali, quanto della politica ai massimi livelli. Dichiarazioni e proteste in difesa di quello che è il polmone verde per eccellenza sul pianeta, fonte di ossigeno e patrimonio inestimabile di biodiversità animale e vegetale. Fonte di vita e riparo per le popolazioni indigene.

E così, pur considerando che la deforestazione in Brasile non tocca le punte drammatiche di anni come il 1995 o il 2003-2005, le rilevazioni dell’Inpe (l’Istituto nazionale di ricerca spaziale brasiliano) raccontano un’accelerazione del fenomeno (+79% di incendi rispetto allo stesso periodo del 2018). In un contesto generale in cui – stando a Global Forest Watch su dati dell’Università del Maryland – il mondo ha perso, sempre nel 2018, più di 12 milioni di ettari di copertura arborea, 3,6 milioni dei quali costituiti da foresta pluviale primaria.

La domanda più importante da porsi è allora: quali spinte economiche si trovano alle spalle di questo fenomeno che oggi – finalmente – ha scosso la sensibilità ambientalista di milioni di persone? Chi effettivamente ha interesse a proseguire in una deforestazione che avanza a ritmi vertiginosi, e non solo nel continente sudamericano?

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Mappa del maggior numero di incendi per Paese (7 agosto – 7 settembe 2019). Fonte: Global Forest Watch

Dalla politica di Bolsonaro carburante per gli incendi

Una parte della risposta si trova innanzitutto nelle potentissime lobby dell’agribusiness che hanno consentito l’elezione dell’attuale presidente del Brasile Jair Bolsonaro, e continuano a sostenerlo. E così il neopresidente, che già in campagna elettorale parlava dell’Amazzonia verde come di un’ostacolo allo sviluppo, ha cercato di screditare e ha licenziato il presidente dell’Inpe, Ricardo Galvao, per aver diffuso dati sgraditi sull’escalation della deforestazione. Gli stessi dati criticati dal ministro dell’Ambiente Ricardo Salles e da Marcos Pontes, ministro della Scienza e tecnologia.

Inoltre, il presidente si è adoperato per limitare la tutela della vegetazione, tagliando del 24% il budget discrezionale dell’agenzia ambientale Ibama (Brazilian Institute of the Environment and Renewable Natural Resources) e togliendo la scorta di polizia ai suoi ispettori inviati sul territorio per verificare gli abusi. Risultato? Secondo un’analisi del New York Times su documenti pubblici, nei primi 6 mesi del 2019 l’agenzia ha ridotto del 20% le “azioni di contrasto intese a scoraggiare la deforestazione illegale, come multe o sequestro di attrezzature”.

L’effetto di tutto questo è facile da prevedere: diffondere un senso di impunità per chi appicca gli incendi e, allo stesso tempo, la consapevolezza che questo status di “mani libere” potrebbe non durare a lungo. Tant’è vero che l’azione dei roghi è deflagrata rapidamente nei mesi estivi, alimentando il fumo delle piante in fiamme che ha oscurato i cieli di San Paolo e Santa Cruz (Bolivia), determinando così lo sconcerto nell’opinione pubblica che rimbalza sui media globali.

Dai nostri stili di consumo il cerino in mano alle multinazionali

Tuttavia, una gran parte di ragioni per cui la deforestazione illegale prospera sta nei nostri stili di consumo, di cui l’attuale filiera del cibo si nutre, promuovendoli a sua volta per alimentare il profitto delle grandi multinazionali che spesso Valori ha indagato.

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Vale
Vale
1 Ottobre 2019 09:29

Vivendo in valtellina non posso non pensare che JBS è attualmente proprietario della Rigamonti e produttore della famosa e vendutissima bresaola della valtellina igp Rigamonti, che in realtà non viene prodotta con carne valtellinese e spesso nemmeno con carne italiana, perché questo è consentito dal disciplinare di produzione, per cui importa solo il luogo di trasformazione del prodotto.

Liberte'Egalite'Fraternite'
Liberte'Egalite'Fraternite'
15 Ottobre 2019 13:42

Bella roba: complimenti ai governi mondiali che stanno facendo di tutto per fare estinguere l’uomo sulla terra senza opporsi alle multinazionali. Guardate che la terra è di tutti noi. Non basta la ricchezza mondiale in mano a pochi intimi, sfruttando i poveri. Ma Greenpeace cosa dice :non vorrei che sotto sotto gatta ci cova.