Sarà forse a causa della tempistica (tra poco più di un mese la California è chiamata a esprimersi sull’indicazione in etichetta), o delle credenziali del primo autore, da anni in prima fila nelle battaglie ambientaliste, ma lo studio appena pubblicato su Food and Chemical Toxicology, che suggerisce un possibile effetto cancerogeno e in generale nocivo per la salute degli animali causato da una dieta a base di mais geneticamente modificato (GM) della Monsanto così come dell’erbicida Roundup (Glifosato), sta suscitando un vero e proprio vespaio di polemiche e reazioni contrapposte. In realtà si tratta di uno dei pochi studi del genere condotti per un periodo di tempo lunghissimo (di fatto l’intera vita dei topi) e su un campione piuttosto ampio di animali (200), e anche se gli effetti visti nei ratti vanno considerati con tutte le cautele e non sempre sono riproducibili nell’uomo, è indubbio che i dati andrebbero analizzati per quello che sono e approfonditi, in base al principio di precauzione e senza strumentalizzazioni.
Questo lo schema dell’esperimento. I ricercatori dell’Università di Caen, in Francia, guidati da Gilles-Eric Séralini (che è anche il capo del Committee for Independent Research and Information on Genetic Engineering http://www.criigen.org, che ha finanziato lo studio) hanno preso 200 ratti e li hanno suddivisi in 10 gruppi, ognuno contenente 10 ratti maschi e 10 femmine. Sei di questi gruppi sono stati alimentati con dosi diverse di mais Monsanto ingegnerizzato per resistere al glifosato, uno degli erbicidi più temuti (e anche più diffusi), noto per i suoi effetti sul sistema endocrino e riproduttivo. Tre gruppi sono poi stati alimentati con una dieta quotidiana contenente l’erbicida, e uno è stato alimentato normalmente, con mais non geneticamente modificato e acqua; il tutto, come detto, per due anni, cioè per un periodo di tempo molto superiore ai 90 giorni chiesto da diverse autorità sanitarie come prova della sicurezza di un prodotto testato su animali, ed equivalente all’intera vita degli animali.
Alla fine i risultati hanno lasciato sconcertati gli stessi autori: nei ratti nutriti con mais OGM e glifosato, il 50% dei maschi e il 70% delle femmine è deceduto anzitempo, contro il 30 e 20% registrato nel gruppo di controllo. Analogamente, tra i ratti femmina nutriti con mais GM o glifosato il tasso di tumori ha oscillato tra il 50 e l’80%, contro il 30% medio dei controlli, e sempre tra gli animali (maschi e femmine) nutriti con il mais Monsanto o glifosato si è avuto un tasso di malattie epatiche e renali molto più alto rispetto ai controlli. “I risultati sono preoccupanti” ha commentato Séralini “soprattutto perché i tumori e le altre patologie si sviluppano dopo i 90 giorni usati da tutti per questi test. Ciò significa che le ricerche condotte finora potrebbero non aver visto questo tipo di effetti”.
Immediatamente i sostenitori dell’obbligo di indicazione in etichetta della presenza di OGM in California hanno fatto dello studio la propria bandiera, e il governo francese ha annunciato una revisione di questi e di altri dati, affermando che si potrebbe giungere a un ripensamento della regolamentazione per l’intera Europa. Ma altri autorevoli commentatori non hanno affatto apprezzato l’allarme. Tra questi Bruce Chassy, professore emerito di scienze alimentari dell’Università dell’Illinois che alla Reuters ha dichiarato: “Non siamo in presenza di una pubblicazione scientifica innocente ma di un evento mediatico abilmente orchestrato e ben pianificato. Uomini e animali ormai da anni mangiano quotidianamente alimenti geneticamente modificati senza che nessuno studio abbia mai evidenziato un aumento di tumori, malattie o decessi, e una revisione di alcuni studi condotti su tempi lunghi, pubblicata poco tempo fa, ha escluso qualunque effetto nocivo. Non solo; curiosamente, nessuno ha mai riferito problemi negli animali che si nutrono di grandi quantità di mais GM”. David Spiegelhalter, dell’Università di Cambridge, specializzato in percezione del rischio, ha invece ricordato che il numero di animali coinvolti è troppo piccolo per poter trarre conclusioni attendibili, mentre altri hanno messo in luce il fatto che gli effetti rilevati non sembrano, come invece ci si aspetterebbe, dipendere dalle dosi di mais GM e glifosato somministrate, segnalando quindi che qualcosa probabilmente non funziona nello schema dei test. Infine, il colpo più duro: qualcuno ha ricordato che in passato, altri studi effettuati da Séralini hanno mostrato gravi debolezze statistiche e sono stati rigettati dalle autorità europee per questo motivo.
La Monsanto, da parte sua, ha subito affermato che analizzerà i risultati francesi, ma che molti altri studi hanno escluso danni sulla salute.
L’EFSA, subito allertata, ha dichiarato che esprimerà un parere sulla vicenda e così Assobiotec, che ha emanato un comunicato in cui ilpresidente Alessandro Sidoli, riprendendo le critiche a Séralini e citando anche lui l’uso ormai più che decennale di questi prodotti, ha affermato che anche l’associazione sta studiando il dossier.
Ci vorranno ancora molti approfondimenti per capire se questi dati abbiano o meno un fondamento: se fossero riproducibili e replicabili nell’uomo, le ripercussioni sarebbero enormi oltreché per la pericolosità di un alimento ormai entrato in modo pervasivo nella catena alimentare, anche perché ci si troverebbe di fronte a una situazione paradossale in cui un prodotto nato per proteggere da una sostanza dannosa come il glifosato causa guai analoghi se non peggiori.
Tuttavia va anche ricordato che i test sugli animali rappresentano solo il primo passo: sono sempre indispensabili, ma mai sufficienti. Da anni la Fondazione Ramazzini di Bologna sperimenta gli effetti dell’aspartame sui migliaia di ratti, e i suoi dati sono ormai incontrovertibili: nelle loro condizioni sperimentali, gli animali si ammalano di tumore, soprattutto di leucemia, se assumono il dolcificante in quantità. Tuttavia gli studi di popolazione non hanno mai replicato gli stessi risultati, e non c’è accordo neppure sul confronto di dosi tra animali e uomini. Il risultato è che la questione quindi è di fatto ancora oggi irrisolta, e con il mais GM potrebbe accadere qualcosa di simile, fino a quando non saranno disponibili dati inattaccabili ottenuti nell’uomo.
Agnese Codignola
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