Tempi duri per i consumatori dell’Europa del Nord. Dopo le micidiali quanto inutili imposte sulle bevande alcoliche in Svezia, è giunta l’ora di tassare vari alimenti, in Danimarca come in Ungheria.

Nuove imposte sui consumi che, come sempre, penalizzano le fasce meno abbienti della popolazione, con la scusa di promuovere il consumo di alimenti reputati più salutari.

Dal 1° ottobre in Danimarca si applicherà la “fat tax”, un’imposta sui grassi saturi contenuti in qualsiasi alimento. Non è la prima volta che i danesi provano a interferire coi modelli di consumo alimentare: nel lontano 1922 venne introdotta una tassa sui cibi che contengono zuccheri, senza tuttavia ottenere alcun utile beneficio in termini di riduzione del Body Mass Index, l’indice di massa corporea della popolazione.

Questo genere di tributi ha un solo risultato certo, quello di ingrassare le casse pubbliche. I danesi prevedono di incassare oltre 200 milioni di euro l’anno, grazie alla “manovrina”.

La nuova imposta si applicherà indistintamente a tutti i cibi venduti in Danimarca: quale che sia la natura e provenienza dell’alimento, esso verrà tassato in misura degli acidi grassi saturi che contiene, in misura pari a 16DKK[1] (=2,15€)/kg di nutriente.

La Commissione europea ha dichiarato di non poter far nulla per ostacolare la legge, a dispetto delle ripercussioni negative che essa avrà sulla circolazione di alcune derrate alimentari.[2]

Ma come si può a credere che il maggior costo di un etto di Parmigiano Reggiano o di prosciutto di Parma o di un litro di latte possa indurre i consumatori danesi a compiere scelte “salutari”? Mangeranno più pane spalmato di margarina light riducendo gli apporti di proteine, vitamine e minerali offerti dai prodotti lattiero-caseari e carnei, ma sarebbe questa una scelta salubre?

In Ungheria la situazione è ancora più complessa: il 21 giugno il governo ha proposto di introdurre un’apposita “tassa di salute pubblica”, teoricamente mirata a scoraggiare il consumo di un’ampia gamma di alimenti considerati non raccomandabili.

Soft-drinks, bevande energetiche, dolci confezionati, ice lollies, snack salati, instant powders, alimenti preimballati: tutti i prodotti saranno soggetti a un tributo addizionale che varia tra i 15HUF[3] (=0,06€)/litro di soft drink ai 300HUF(=1,10€)/lt per gli energy drink, dai 250HUF(=0,92€)/kg per i packed sweets ai 400HUF(=1,47€)/kg per i salted snacks.

Fonti governative stimano i proventi annuali di questa tassa in 30 miliardi di fiorini, 111 milioni di euro. Da rastrellare nelle tasche di tutti i cittadini in aggiunta a un’IVA sui prodotti alimentari che in Ungheria è tra le più alte dell’UE, il 25% (con eccezione di carni e prodotti caseari).

L’aspettativa di vita in Ungheria è tra le più basse del continente (69 anni per gli uomini, 5 in meno della media europea), si stima a causa di un endemico abuso di sigarette e alcol che le tasse non hanno risolto. Anche ricerche internazionali convergono nel dimostrare, come in questo caso, l’incapacità dei tributi di modificare i comportamenti e le abitudini di consumo dei cittadini.

La dieta magiara non è esattamente in linea con le moderne raccomandazioni nutrizionali, grazie a diffuse delicatessen come i Kolbasz (salsiccioni farciti) e il Langos (pane fritto). Eppure la “tassa di salute pubblica” non sfiora alcuno dei prodotti tradizionali locali.

 

Dario Dongo

foto: Photos.com

 

[1] Corona danese, 1 DKK= 0,13€

[2] La direttiva 2008/118/CE autorizza infatti gli Stati membri a istituire tasse nazionali anche sui prodotti alimentari, nel rispetto dalla libera circolazione delle merci. Ad avviso del Commissario Algirdas Šemeta [per la fiscalità e l’unione doganale, gli audit e la lotta antifrode] non si configura perciò alcuna discriminazione verso i prodotti importati da altri Stati membri

[3] Fiorino ungherese, 1€ = 271,5 HUF