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Traktor bei SonnenuntergangIn occasione di importanti appuntamenti internazionali come l’incontro alla Chatam House britannica dedicato al cibo sostenibile, il COP24 delle Nazioni Unite, già ribattezzato l’incontro in cui si siglerà l’accordo di Parigi sul cambiamento climatico 2.0 (*), la riunione della Commissione europea dedicata al tema della sicurezza alimentare, e la conferenza della FAO di Bangkok (**), si moltiplicano gli studi e i documenti ufficiali sulla necessità di cambiamento delle abitudini e della cultura alimentare.

Il più importante, tra gli ultimi usciti, è forse quello firmato da ben 130 istituzioni accademiche di tutto il mondo e intitolato “Opportunità per ricerche future e innovazioni relative al cibo e alla sicurezza della nutrizione e dell’agricoltura: la prospettiva della partnership inter-accademica globale”, nel quale si elencano le direttive da mettere subito in atto per scongiurare a ogni costo un aumento di 2°C della temperatura del pianeta, evento che peggiorerebbe drammaticamente le tendenze già viste nel 2016, 2017 e 2018, ovvero fenomeni meteorologici estremi con il conseguente aumento del numero di persone malnutrite o sottonutrite (passate dai 777 milioni del 2015 agli 815 milioni del 2016), fatto che non si verificava da anni. 

Il cambiamento climatico – premettono gli esperti – rende ancora più critica la sicurezza alimentare e aumenta le disuguaglianze. Ma, a sua volta, è alimentato dalla continua e crescente richiesta di alimenti a bassissimo costo e ad altrettanto bassa qualità nutrizionale (il 20-25% delle emissioni è dovuto agli allevamenti industriali, senza contare i trasporti e la parte finale delle filiere), che a loro volta fanno schizzare in alto gli indici di molte malattie e la stessa mortalità.

Andando poi sul concreto, il rapporto individua questi filoni di intervento:

  • Sistemi alimentari climate-smart: è il punto fondamentale. È necessario modificare l’agricoltura fino a giungere a pratiche che non alimentino le emissioni, anche se questa misura, di per sé epocale, non basta da sola.
  • Incentivi ai consumatori affinché modifichino le proprie abitudini: aiutare i cittadini a cambiare dieta è indispensabile tanto per l’ambiente quanto per la loro salute. Bisogna perciò agire in modo attivo affinché cresca l’apertura verso nuove forme di cibo, insieme alla consapevolezza dell’impatto ambientale di ciò che si mangia. È altresì urgente ridurre drasticamente lo spreco di cibo.
  • Cibi innovativi: soprattutto in paesi che hanno già raggiunto un buon livello di consapevolezza, le autorità politiche devono impegnarsi per diffondere alimenti innovativi quali la carne mista per esempio con funghi, la carne coltivata, le alghe, gli insetti.
  • Collaborazione tra scienze naturali e sociali: la ricerca deve essere utilizzata anche per tradurre i risultati in innovazione, e questo richiede una collaborazione molto più stretta di quella attuale tra discipline anche diverse come quelle più strettamente legate agli aspetti scientifici e quelle sociali, nonché un impegno per educare alla scienza le giovani generazioni di ricercatori affinché la loro formazione permetta in tempi brevi di avere una nuova impostazione (e creatività) anche nella ricerca.
  • Organi di controllo internazionali: enti accademici e governi devono collaborare per creare una rete di controllo globale tanto sulla sicurezza quanto sui metodi di produzione.
Il cambiamento dei modelli alimentari e agricoli dovrebbe iniziare con una modifica dei sistemi di allevamento di bovini e suini

Nello stesso solco si inserisce poi un altro studio, uscito negli stessi giorni su Climate Policy, e focalizzato sul consumo di carne, responsabile – secondo gli scienziati dell’Università di Harvard autori della ricerca – di almeno metà delle cause che hanno portato a un innalzamento della temperatura di 1,5°C.

Come interventi primari, ai quali dovrebbero essere ispirate le scelte politiche, in questo caso gli autori ne indicano tre:

  • Riconoscere che il numero di animali allevati ha raggiunto il massimo tollerabile (livestock peak), e cioè 28 miliardi di capi, che essi sono i responsabili principali dell’emissione di metano e gas azotati, e che tale situazione deve cambiare subito; tra questi gas, il metano è particolarmente pericoloso, perché ha una capacità di contribuire all’effetto serra pari a 85 volte quella della CO2, e perché le previsioni, a oggi, dicono che aumenterà di 60 volte entro il 2030.
  • Iniziare il cambiamento del sistema a partire da modifiche relative all’allevamento degli animali che hanno una maggiore impronta ambientale, e cioè bovini da carne e da latte e maiali;
  • Introdurre o promuovere solo alimenti che rispondano a caratteristiche ben precise dal punto di vista della salute e del pianeta.

Mentre giungono notizie allarmanti, come quella della deforestazione record del Brasile, che nell’ultimo anno ha detto addio al 13,7% delle foreste pluviali, pari a 8 mila km quadrati, un valore altissimo e molto superiore alla media degli ultimi anni, qualcosa sembra si stia davvero muovendo, vista la mobilitazione che si registra quasi ovunque. La speranza è che sia davvero così. E, soprattutto, che si sia ancora in tempo.

(*) Evento in calendario a Katowice, in Polonia, il 21 dicembre.

(**) In calendario dal 28 al 30 novembre

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Mario
Mario
3 Dicembre 2018 15:36

Se queste cose sono il futuro così come espresso dagli ‘esperti’ siamo messi molti anni.
Pensare che la ‘carne coltivata’ sia una delle soluzioni al problema dell’inquinamento e della C02 è ridicolo.
Comporta ‘industria’ per produrla ‘industria’ per conservarla ‘industria’ per portarla in giro per il mondo ‘industria’ per il marketing.
C’è da sempre carne non industriale che non ha bisogno di nessuna industria, che non richiede cereali coltivati, che non richiede foraggi, che è disponibile tutto l’anno ovvero conigli capre piccioni allevati come 100 anni fa quando non ci si sognava minimamente ad alimentarli ad orzo, soia e fioccato e che possono nutrirsi di erbe spontanee, rovi, e di quello che trovano. Basta avere il coraggio di ammettere che l’industria per quanto innovativa non ci salverà. L’unica via d’uscita è verso il passato, non verso il futuro.

ezio
ezio
5 Dicembre 2018 12:17

Dagli innumerevoli dati globali sull’industrializzazione spinta delle filiere agroalimentari, si evidenzia purtroppo che per massimizzare le rese produttive, il sistema ha prodotto inquinamenti incontrollati, povertà ed isolamento dei territori a bassa resa produttiva, emigrazioni di popolazioni emarginate dalle grandi produzioni, appiattimento verso il minimo delle retribuzioni degli addetti, standardizzazione ed abbassamento della qualità degli alimenti e riduzione drastica delle biodiversità a favore di monocolture ed allevamenti troppo selettivi ed estensivi.
Filosofie espansive incontrollate ed ingestibili, come l’eccessivo consumo energetico di fonti fossili, la esasperata rincorsa ai beni di largo consumo senza un minimo di gestione globale degli scarti, stanno causando sfaceli ambientali di cui siamo poco consapevoli.
Ci perdiamo in diatribe mondiali sulle cause degli squilibri socio economici ed ambientali e con l’alibi del disaccordo continuiamo a non far nulla o molto poco, pensando di essere assolti dalle mancanze e colpe degli altri (vicini, concittadini, connazionali, nazionali e continentali).

Simona
Simona
6 Dicembre 2018 17:28

Sull’argomento c’è un bellissimo libro: “La vendetta dei broccoli”, un giallo vegetariano di Diana Lanciotti (Paco Editore) che divertendo fa riflettere sul problema degli allevamenti e delle scelte alimentari. Ognuno nel suo piccolo può influire sul cambiamento.

Nicolò
Nicolò
8 Dicembre 2018 15:17

Il mondo chi? Non siete seri. Alcune organizzazioni NON SONO “il mondo”! La lotta al cambiamento climatico, QUANDO NON SONO EVIDENTI le ragioni del MINIMO cambiamento registrato che è del tutto fisiologico per il Pianeta, è una lotta ignorante e anti scientifica. Perciò dato che le cause non sono dimostrate e non vi è ragione di pensare ad esse come a cause antropiche, smettetela e fate figura più onesta e colta.

luigi
luigi
Reply to  Nicolò
10 Dicembre 2018 10:27

il tuo commento fa letteralmente piangere, come il comportamento di altri personaggi, infaustamente più famosi, che sono dichiaratamente a negare ogni evidenza scientifica, contrastando gli sforzi che gente ragionevole vorrebbe fatti per salvare la nostra vita sul pianeta, quindi anche la tua! ma voglio essere ottimista e guardare avanti lo stesso con fiducia, pensando che la tua sia solo una provocazione fine a sé stessa…

enciclopivo
enciclopivo
Reply to  Nicolò
15 Dicembre 2018 11:33

Il 98,5% degli scienziati che si occupa del problema, dopo studi, indagini, prove ecc. ecc., ritiene che la causa maggiore del riscaldamento globale sia di origine antropica, cioè dovuto all’attività umana.
Ma la domanda che mi pongo è: perché cercare di far cambiare abitudini alimentari, anziché lavorare per una riduzione dei consumi inutili? Quanti prodotti industriali che abbiamo per casa sono del tutto inutili, cioè di cui potremmo farne a meno? Quanti televisori ci sono per famiglia? quanti tablet, telefonini, computer, e via discorrendo? Quanta energia sprechiamo per alimentare ogni sorta di apparecchiature, che potrebbe essere risparmiata “lavorando” un po’ di più manualmente?Quante automobili possediamo di cui potremmo anche farne a meno? Quanti prodotti dedicati al benessere della persona sono del tutto inutili, se non per un puro effetto placebo? E si potrebbe continuare all’infinito.
Ecco allora il mio dubbio su quanto ho letto qui sopra: perché non ce la prendiamo con l’industria che inquina, ma prima ancora con un consumo scriteriato di beni per la maggior parte inutili, se non per far sopravvivere solo l’industria che li produce? E’ facile attaccare il consumo, e quindi la produzione, di carne, perché non prendersela con l’industria degli Stati Uniti e della Cina, che sono i paesi che più contribuiscono alle emissioni di anidride carbonica e di monossido di carbonio? Dobbiamo quindi cercare cibi innovativi, prodotti dall’industria, che naturalmente inquina ed emette grandi quantità di gas ad effetto serra, allevando magari insetti e vermi anziché vitelli? Il discorso, avulso da un quadro generale e completo dell’inquinamento antropico, risulta fine a se stesso e privo di effettivo valore. O interveniamo su tutte le cause (che sono tante, e magari qualcuna ce la dimenticheremo), o altrimenti risulta inefficace e simile ad un esercizio di bella scrittura, senza contenuti reali.

Dede
Dede
15 Dicembre 2018 12:37

Vedere che quelli che dovrebbero trovare una soluzione non hanno capito niente, o quasi, è a dir poco sconsolante. L’ennesima conferma che, se un cambiamento avverrà, potrà arrivare solo dalla consapevolezza e dal comportamento dei singoli individui, e non da organizzazioni, enti, istituzioni, ecc..