L’Agenzia francese per la sicurezza nella sanità nell’ambiente e nel lavoro (Afsset) ha pubblicato un dossier sui rischi correlati alla presenza di nanoparticelle o nanomateriali nei prodotti di consumo. Le conclusioni sono generiche perché mancano elementi sufficienti, ma gli esperti richiamano l’attenzione dei consumatori e delle autorità europee sui possibili  rischi. Ma dove sono le nanoparticelle? Negli Usa un sito propone un elenco dettagliato con mille prodotti, redatto sulla base delle dichiarazioni dei produttori. In Europa si  parla di  150 anche se non esistono elenchi ufficiali. In Italia un solo prodotto, un dentifricio, dichiara nei messaggi pubblicitari la presenza di cristalli nanometrici di idrossiapatite. Nel settore dei cosmetici invece i messaggi pubblicitari vantano la presenza di nanosomi, che dovrebbero essere nanoparticelle grandi qualche decina di nanometri.
Sul mercato ci sono già palline da tennis, lettori di musica, ma anche cannucce riempite con nanomateriali in grado di  imbrigliare tutte le sostanze tossiche e anche i batteri. In prospettiva i nano materiali potranno essere applicati al recupero di acque reflue o a scarichi di lavorazioni industriali. Nella medicina le applicazioni nanotecnologiche riguardano soprattutto  la diagnostica, la medicina rigenerativa e nuovi sistemi per il rilascio dei farmaci. In Italia un solo prodotto vanta nei messaggi pubblicitari la presenza di microcristalli nanometrici di idrossiapatite, si tratta di un dentifricio che promette di “riparare le microfessurazioni dello smalto”. L’Afsset nel dossier focalizza l’attenzione  su quattro categorie merceologiche.
Calze antibatteriche
L’abbinamento di  nanoparticelle di argento alle fibre tessili impedisce la crescita di batteri, funghi ed altri microrganismi. Gli esperti non ritengono trascurabile l’esposizione per via cutanea,  anche se non sono in grado di valutare  eventuali rischi sanitari dovuti al passaggio delle nanoparticelle oltre la barriera cutanea. L’altro aspetto evidenziato  riguarda le 18 tonnellate di nanoparticelle di argento che finiscono nell’ambiente in seguito al lavaggio dei calzini usati dal 10% dei francesi.
Cemento autopulente
Il cemento amico dell’ambiente è un prodotto italiano e agisce grazie all’aggiunta di nanoparticelle di biossido di titanio in grado di  “catturare” e degradare le sostanze organiche e le altre componenti dello smog presenti nell’aria. Secondo l’Agenzia francese queste nanoparticelle possono finire nei polmoni, ed  alcuni esperimenti condotti sui ratti e sui pesci a dosaggi molto elevati hanno evidenziato problemi sanitari. Non esistono però  ancora dati sufficienti per esprimere giudizi tossicologici.
Creme
Molte creme solari usano da anni nanoparticelle di biossido di zinco e di titanio  per filtrare i raggi ultravioletti. Le aziende cosmetiche sostengono che le nano particelle non superano la barriera cutanea, ma secondo  alcuni studi  è  possibile la penetrazione nello strato profondo dell’epidermide.
Zucchero, salse
Non essendoci in commercio un prodotto che dichiara apertamente la presenza di nanoparticelle l’Agenzia ha considerato la potenziale presenza di agglomerati di silice in salse e in zucchero per evitare l’agglomerazione dei granelli o come additivo che migliora la viscosità delle salse. Al momento non si conoscono le possibilità di reazioni negative. Prove condotte su ratti con dosi massicce hanno causato  lesioni sul fegato.
Il mondo nano purtroppo  non rientra nella normativa europea Reach, che prevede l’autorizzazione preventiva di tutti i composti chimici. Le  autorità di Bruxelles intendono provvedere con un regolamento specifico nei prossimi anni, dopo la pubblicazione dei risultati di un’ampia ricerca coordinata dall’Ocse. «Si tratta di una sperimentazione iniziata nel 2009 in oltre 20 paesi tra cui Cina, Stati Uniti e diversi stati dell’Ue — spiega Francois Rossi dell’Unità di Nanobioscenze dell’Istituto per la salute e la protezione del consumo del Joint Research Centre di Ispra. Si stanno testando 14  nanoparticelle usate dall’industria, con prove in vitro su cellule per valutare il meccanismo di azione, e in vivo su animali per valutare la tossicità. Ed è la  prima volta che i laboratori usano le stesse nanoparticelle, per poter confrontare i risultati e giungere a conclusioni comuni». In attesa della norma una certa cautela è necessaria, perché i metalli  e i  minerali nella versione “nano” (80 mila volte più piccole rispetto al diametro di un capello), presentano forme, strutture e caratteristiche diverse rispetto agli stessi metalli e minerali in dimensioni microscopiche. Questa differenza  complica la situazione perché le valutazioni tossicologiche in molti casi devono essere riformulate. Non si quantifica la dose minima di pericolo in termini di quantità, ma piuttosto bisogna considerare la superficie attiva delle particelle. Per rendersi conto basta dire che un grammo di argento in versione nano ha una superficie un milione di volte superiore. Siamo di fronte a materiali talmente piccoli che possono diffondere in tutti  gli organi del corpo umano, e la tossicologia tradizionale non considera in modo adeguato questi aspetti. Se da un lato  c’è quindi notevole  interesse per le prospettive tecnologiche, sul fronte opposto ci sono legittime preoccupazioni per i molti aspetti poco conosciuti.
«La questione è complicata – spiega  Laura Manodori, ricercatrice presso il laboratorio Ecsin della società Veneto Nanotech che gestisce il Distretto Italiano delle Nanotecnologie – perché anche i documenti firmati dall’Agenzia per la sicurezza dell’ambiente tedesca (BfR), Svizzera (ETH), dalla UE e dall’OECD e dalla stessa FDA americana sottolineano le difficoltà di condurre studi tossicologici in mancanza di metodi di analisi e di valutazione standardizzati. Attualmente i rischi maggiori possono riguardare i lavoratori addetti alla produzione di nanoparticelle e perché sono più facilmente esposti».
«Bisogna evitare allarmismi e affrontare il problema in modo prudente – spiega Achille Marconi del Dipartimento ambiente dell’Istituto Superiore di Sanità. L’aria inquinata delle città contiene decine di migliaia di nanoparticelle per centimetro cubo provenienti dalle emissioni delle automobili ritenute una concausa delle patologie polmonari, cardiovascolari e anche cerebrali.  Secondo alcuni ricercatori i potenziali effetti negativi sulla salute dovuti alle nanoparticelle introdotte dall’uomo costituite da nanotubi di carbonio, fullereni, ossidi di metalli… possono essere paragonate a quelle dello smog metropolitano. La differenza è che nella maggior parte dei casi  i nanomateriali nei prodotti di consumo non si disperdono immediatamente nell’ambiente, come invece succede per le nanoparticelle da inquinamento. Nessuno conosce però ancora come agiscono nell’organismo umano e il loro destino quando vengono immesse nell’ambiente in virtù dell’estrema reattività della superficie che rappresenta un fattore determinante nella valutazione della tossicità».
Per tutti questi motivi l’Agenzia francese invita le imprese ad indicare sulle etichette la presenza e il tipo di nanoparticelle usate e di garantirne la tracciabilità. L’altra proposta è valutare il rapporto rischio beneficio prima di autorizzare nuovi nanomateriali nei beni di consumo. L’agenzia auspica al più presto l’adozione di una norma europea sulla tossicità e consiglia di  continuare ad usare materie prime tradizionali in assenza di vantaggi evidenti.

Roberto La Pira

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