Mentre in Italia la proposta del Ministro della salute Renato Balduzzi di introdurre una microtassa sulle bevande zuccherate ha scatenato  una guerra ideologica e strumentale, in diversi paesi si procede con  norme anti junk food e si cerca di capire l’efficacia di certi provvedimenti. Negli Stati Uniti, i nutrizionisti dell’Università di Chicago hanno voluto misurare l’influenza tra le leggi contro il cibo spazzatura introdotte dal 2006 in alcuni Stati e l’alimentazione proposta ai bambini delle scuole elementari. I ricercatori hanno inviato a 1.830 scuole pubbliche e private un questionario su diversi argomenti come la dieta a scuola, la presenza nell’edificio di distributori di cibo spazzatura, l’educazione alimentare, le ore di attività fisica, gli spazi verdi… attribuendo all’insieme dei parametri un punteggio compreso tra 1 e 100.

 

Le risposte sono state confrontate con quelle ricevute nel biennio 2006-2007 quando è stato avviato il progetto attraverso un questionario del tutto simile. L’esito è che le scuole pubbliche hanno migliorato il loro punteggio di circa 3 punti (da 50,1 a 53,3) e quelle private di cinque (da 37,2 a 42,2). Le misure adottate sia spontaneamente sia in seguito a specifiche norme stabilite dallo Stato, hanno riguardato l’introduzione di alimenti più sani quali frutta, verdura, latte scremato al posto di patatine, merendine e bibite gassate, ma anche limiti precisi ai contratti con le aziende alimentari per le forniture e le sponsorizzazioni (un elemento molto importante per il sistema scolastico americano). «Tre o cinque punti non sono certo molti – hanno commentato sul Journal of the Academy of Nutrition and Dietetics gli autori dello studio – ma indicano una tendenza ormai in atto, che è necessario incentivare con sforzi molto più incisivi, anche dal punto di vista delle normative».

 

In effetti, che le leggi siano importanti lo dimostra un altro studio uscito nelle stesse settimane, dove i pediatri della stessa università hanno misurato i parametri morfometrici (peso, altezza, giro vita) in oltre 6.300 studenti di età compresa tra gli 11 e i 14 anni, appartenenti a 40 stati diversi e seguiti per tre anni. Come riportato su Pediatrics, il risultato è molto lineare: negli Stati dove le scuole adottano misure restrittive per alcuni cibi i bambini erano ingrassati di meno rispetto a quelli che vivevano nelle nazioni più permissive. C’è di più: i soggetti che all’inizio dello studio erano obesi o in sovrappeso erano riusciti a rientrare nella norma in misura maggiore se vivevano in uno Stato che aveva dichiarato guerra al junk food.

 

Anche in Gran Bretagna cresce l’attenzione verso ciò che viene proposto ai bambini e ai ragazzi durante le ore di scuola e verso l’efficacia di specifiche limitazione adottate da alcuni anni nelle scuole pubbliche. Il Guardian ha ripreso con toni piuttosto allarmati quanto emerso da un’inchiesta condotta dal canale televisivo Channel 4. L’emittente ha voluto verificare l’esistenza di eventuali differenze tra ciò che viene offerto agli alunni delle scuole normali rispetto a quelli delle cosiddette Academies, scuole anch’esse pubbliche ma dotate di un’autonomia più ampia, che consente loro di decidere i menu talvolta in deroga alle normative locali.

 

Tra le 108 Academies che hanno risposto, ben 29 vendono all’interno dell’edificio alimenti banditi da alcune contee quali caramelle, cioccolati al latte, bevande gassate, e sette anche energy drink come  Red Bull, mentre 37 su 108 vendono almeno uno dei cibi vietati nelle scuole pubbliche. Dati simili erano emersi in maggio, in un’indagine promossa dallo School Food Trust che aveva rilevato come un quarto delle Academies censite vendeva qualche junk food e una su due barrette di cereali, anch’esse bandite dalle scuole pubbliche a causa dell’elevato contenuto in zuccheri.

 

In Gran Bretagna purtroppo oggi più della metà dei licei ha un’autonomia che permette di fare scelte alimentari molto liberiste, e anche la percentuale di scuole elementari e medie autonome sta aumentando rapidamente.

 

Secco il commento dell’autore del servizio, Jamie Oliver, che ha iniziato a sollevare la questione già nel 2005, in trasmissioni televisive che hanno avuto una vasta eco contribuendo non poco all’introduzione di leggi più restrittive. «Attraverso le Academies stiamo erodendo tutto il patrimonio che abbiamo accumulato negli ultimi anni, anche perché il governo non obbliga le autorità locali a controllare che cosa viene servito nelle scuole né se queste rispettano le indicazioni nazionali e locali. Tutto ciò è un nonsenso e va subito corretto».

 

Agnese Codignola

Foto: Photos.com

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ezio
ezio
20 Settembre 2012 08:48

Leggo con molto piacere notizie sensate sul ruolo guida anche in ambito scolastico dello stile di vita alimentare.
Contrariamente alla battaglia che avete fatto contro i menù delle scuole milanesi, paventando lo spreco di alimenti rifiutati dai piccoli consumatori, questa tendenza è molto condivisibile.
Se non insegnamo educazione alimentare a scuola già nei primi anni di vita, chi dovrebbe trasmettergli corretti principi nutrizionali? La massa dei genitori e famigliari italiani ormai abituati a loro volta al cibo spazzatura?

alex
alex
23 Settembre 2012 10:37

Con l’informazione sul cibo che c’è al giorno d’oggi,e sul relativo pericolo di certi prodotti,è un dovere proteggere i bambini dal cibo spazzatura.In passato si sapeva poco o niente,ma al giorno d’oggi possiamo difenderci.