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L’olio di palma è stato per lungo tempo il grasso vegetale più utilizzato dell’industria alimentare perché è solido a temperatura ambiente, economico e versatile. Ma è anche ricco di grassi saturi e ha un impatto ambientale da non trascurare. Non è sempre possibile rimpiazzare questi grassi utilizzando oli vegetali ricchi di grassi insaturi, come l’olio di girasole o di oliva. Questi oli, liquidi a temperatura ambiente, non riescono sempre a sostituire in modo adeguato le funzioni strutturali e tecnologiche dei grassi solidi e, quindi, per alcuni prodotti, ciò comporta una lieve modifica delle caratteristiche sensoriali. Per questo motivo si stanno studiando nuove strategie in grado di migliorare il profilo nutrizionale degli alimenti sostituendo l’olio di palma, cercando però di mantenerne inalterati gli aspetti sensoriali. Alcune proposte concrete arrivano da uno studio firmato da Sonia Calligaris, Luca Manzocco, Maria Cristina Nicoli e Stella Plazzotta ricercatori del Dipartimento di Scienze agroalimentari, ambientali e animali dell’Università di Udine, che sulla rivista Industrie Alimentari descrivono quali sono le nuove possibilità per le aziende.

Tra i sostituti più promettenti, tanto da essere stati definiti “i grassi del futuro”, ci sono gli oleogel. Si tratta di un sistema in cui l’olio vegetale (ad esempio di oliva, mais, o semi di girasole) viene intrappolato in una struttura tridimensionale, grazie all’impiego di una piccola quantità di molecole gelificanti come i monogliceridi, le cere vegetali o i fitosteroli.

Esistono diversi modi  per sostituire l’olio di palma e gli altri grassi alimentari saturi senza alterare le caratteristiche sensoriali

Un altro metodo interessante consiste nell’utilizzare le cosiddette emulsioni strutturate, formate da gocce microscopiche di olio disperse in una fase acquosa. In questo caso un olio vegetale liquido, viene inserito all’interno di una “fase continua” ottenendo prodotti con una consistenza simile alla maionese o alle creme spalmabili. La formazione di queste emulsioni strutturate richiede l’utilizzo di specifiche sostanze emulsionanti, nonché l’adozione di opportune condizioni di processo. Aromi e sapori sono determinati dalle complesse interazioni che si creano tra gli ingredienti dell’emulsione. Esiste anche la possibilità di ricorrere a polimeri naturali come zuccheri complessi o proteine, per creare una struttura gelatinosa, chiamata appunto gel polimerico, con la stessa funzione tecnologica dei grassi e un ridotto potere calorico.

La sostituzione dell’olio di palma con una miscela di ingredienti comporta però una nuova progettazione del processo di produzione dell’alimento. Alcuni di questi sistemi sono stati sperimentati con successo per la produzione di alimenti come yogurt, formaggi freschi, salse, würstel, biscotti e altri prodotti da forno, anche se resta qualche difficoltà per le sfoglie. Sostituire l’olio di palma e altri grassi a elevato tenore di acidi grassi saturi senza stravolgere le caratteristiche sensoriali è possibile, anche se alcune aziende preferiscono utilizzare soluzioni più semplici ed economiche, come l’olio di cocco, che non comportano grandi cambiamenti nelle linee di produzione.

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franco
franco
20 Febbraio 2018 17:34

e il buon burro dove lo mettiamo ?

tania
tania
20 Febbraio 2018 22:09

niente di nuovo o di scoperto, noto fin dai tempi lontani e io stessa utilizzo diverse soluzioni che NON sono olio di palma, oltre ad altre oleose anche semi di chia o di lino
polpa di alcuni frutti per legare e in vista del fatto che neppure lo zucchero serve
quindi non sono ricerche inedite quelle su indicate a nome dei ricercatori dell’università di udine
ma sono conoscenze sedimentate e note nel mondo alimentare fin dai tempi antichi
si denota grave disinformazione e ritardo, con la presunzione di spacciare per soluzioni contemporanee
e questo non va bene e offende la verità nel settore alimentare
e fa strano perchè ci sono continue discussioni in materia giorno per giorno
ecc. ecc. 🙂

Pier Danio Forni
Pier Danio Forni
25 Febbraio 2018 09:51

Già e il buon burro dove lo mettiamo, o meglio perché non lo usiamo più. La risposta sembra scontata: a causa dei grassi saturi che contiene. Ma ormai da più di 20 anni molte ricerche hanno dimostrato che i grassi saturi del latte non sono il diavolo. Infatti, ricerche molto autorevoli hanno dimostrato che 30 g al giorno di burro non hanno prodotto danni cardiovascolari superiori alla media, cioè una dieta a base di saturi del latte o di olii di origine vegetale ha gli stessi effetti sulla salute. Il burro ha caratteristiche gastronomiche più elevate dell’olio, soprattutto nei prodotti da forno e ha un po’ meno di acidi grassi, circa 8 kcal grammo invece che 8,9. Si dovrebbe poi fare una grossa distinzione tra saturi della carne e saturi del latte. Infatti, i grassi del latte sono secreti dalla mammella della vacca e sono rivestiti di lipoproteine, diversi quindi da quelli della carcassa dell’animale che questo rivestimento non hanno. La scienza medica dovrebbe perlomeno prendere in considerazione che questa differenza (bioattività) potrebbe sollevare il latte, e burro e formaggi di conseguenza, da quel rischio cardiovascolare che oggi si continua ad imputare ai grassi saturi senza fare nessuna distinzione.