“Assolto perché il fatto non sussiste”. È stata questa la sentenza al termine del processo simulato al latte, organizzato dall’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Milano, svoltosi all’Abbazia di Mirasole, alle porte del capoluogo lombardo. Il processo simulato – che è stato anche un corso di aggiornamento per medici, odontoiatri e tecnologi alimentari – ha visto come imputato Achille Lanzarini, direttore generale della Fondazione Sviluppo Ca’ Granda, costituita dal Politecnico di Milano, che produce il latte Ca’ Granda, accusato di “aver messo in commercio un prodotto che, pur non adulterato, è nocivo per la salute dei consumatori secondo quanto previsto dall’art. 444 del codice penale”. ll pubblico ministero Luisa Ponti, presidente di sezione del Tribunale di Milano, ha indicato sei effetti dannosi che sono stati oggetto del dibattimento, con l’intervento di testimoni, consulenti di parte e periti.

Poiché il dott. Franco Berrino e altri medici che condividono posizioni critiche nei confronti del latte non si sono resi disponibili al confronto, il ruolo di consulente dell’accusa è stato interpretato da un medico dietologo ben conosciuto che pur non condividendo le motivazioni, ha illustrato al tribunale le critiche, comprese quelle di Berrino. Il consulente dell’accusa ha detto che molti suoi pazienti sono preoccupati di essere intolleranti, mentre alcuni ipotizzano un collegamento tra la bevanda e l’incidenza dei tumori, e si chiedono se, dopo una diagnosi del genere, si debba sospenderne l’assunzione. C’è anche una preoccupazione verso i figli, perché pensano che l’assunzione del latte sia la causa di alcune sintomatologie. Tutti questi elementi sono presenti nei capi d’imputazione del processo simulato.

Secondo l’accusa, il latte stimola la produzione di IGF-1, un fattore di crescita che potrebbe indurre lo sviluppo di tumori

Primo capo d’accusa: il latte induce incremento della produzione di IGF-1 (somatomedina o fattore di crescita simil insulinico). L’accusa ha spiegato che l’IGF-1 è un fattore di crescita di determinati tessuti, per cui incrementandone la produzione si aumenta il rischio di tumore. La tesi è sostenuta dal professor Berrino in documenti reperibili in Rete, oltre che in un articolo pubblicato su Epidemiologia e prevenzione nel 2013, in cui si dice come “recentemente uno studio ha riscontrato che le donne che hanno avuto un tumore al seno e che consumano latticini grassi hanno più recidive”, evidenziando criticità relative al consumo di latte e al legame tra la secrezione di IGF-1 e alcune tipologie di tumore.

Al consulente dell’accusa ha replicato uno dei due periti nominati dal tribunale, la professoressa di medicina interna Silvia Fargion, affermando che l’IGF-1 è presente nel latte in minime quantità, precisando che secondo alcuni studi l’incremento di questo fattore di crescita prodotto dal latte nell’organismo è minimo e non incide più di quanto potrebbe incidere il latte materno. Un lavoro recentissimo dice che l’IGF-1 interferisce con fattori genetici che regolano il genoma e quindi, potenzialmente, faciliterebbe l’acne e il tumore della prostata. Tuttavia, studi importanti, verificati e rigorosi non evidenziano questo rapporto tra latte e tumore della prostata, per cui, ha dichiarato il perito del tribunale, siamo di fronte a fantasie.

Secondo capo d’imputazione: il latte provoca perdita di massa ossea a causa del suo carico potenziale renale acidificante. L’accusa ha osservato che per anni si è parlato del latte e in particolare del calcio come qualcosa di utile per la prevenzione dell’osteoporosi e per il raggiungimento del picco di massa ossea. C’è un’ampia fascia di letteratura scientifica che ha analizzato il ruolo di alcuni alimenti nel modificare il livello alcalino o acido del sangue. Il calcio è uno degli elementi che aumentano l’acidità e un discreto numero di studi ha evidenziato che gli alimenti ricchi di calcio – come il latte – hanno questo effetto. “Il latte stimolerebbe la secrezione ulteriore del calcio attraverso l’azione del rene, determinando un effetto quasi paradossale, per cui, pur essendo un alimento ricco di calcio, il latte potrebbe determinare la mobilizzazione del calcio stesso dalle ossa al sangue”. Questo motivo metterebbe in dubbio la funzione preventiva del latte nei confronti dell’osteoporosi. Alla domanda del pubblico ministero se questo dato sia riconosciuto dalla scienza medica, il consulente dell’accusa ha ammesso che “è oggetto di discussione scientifica” e che secondo numerosi ricercatori questa teoria ignora le basi fisiologiche della funzione renale nella regolazione dell’omeostasi del livello di acidità del sangue.

La difesa, nella persona di Hellas Cena, medico specialista in scienza dell’alimentazione ha precisato che il calcio del latte ha un ruolo fondamentale nella crescita e negare l’assunzione a un bambino sano vuol dire negare la possibilità di esprimere le proprie potenzialità di crescita, non solo a livello osseo. Questo discorso vale anche per la vitamina D, di cui siamo abbastanza carenti, perché non ci esponiamo al sole – senza la quale il calcio non si fissa alle ossa – a sufficienza e, quando lo facciamo, giustamente ci proteggiamo. C’è di più, quando le persone aumentano di peso, cresce la componente adiposa e quindi anche la quantità di vitamina D, che essendo liposolubile viene sequestrata nel grasso e di conseguenza non entra in circolo. Il latte è l’unico alimento che contiene vitamina D, ha affermato la consulente della difesa, oltre ad avere l’acido butirrico, che ha una funzione specifica e importantissima sui microbi presenti nell’ultima parte dell’intestino.

Su latte e osteoporosi è stato scritto tutto e il contrario di tutto, ha osservato il perito del tribunale Silvia Fargion, secondo la quale un ridotto apporto di latte, cioè inferiore a 500 ml, nell’infanzia e nell’adolescenza, si associa ad un aumento di fratture nell’età adulta, periodo della vita in cui un apporto adeguato di latte rallenta la perdita di osso correlato con l’età, cioè rallenta l’osteoporosi, cui tutti, con l’invecchiamento, andiamo incontro.

Secondo alcuni, il latte induce intolleranza negli adulti e allergie nei bambini

Terzo capo d’imputazione: il latte induce intolleranza nella gran parte degli adulti con conseguenze gastrointestinali e anche nei bambini. Per quanto riguarda i piccoli, l’accusa ha citato un dato tratto da un articolo scientifico pubblicato dalla Società dei pediatri europei, secondo cui i il 47% dei loro pazienti ha un’allergia al latte vaccino, anche se la maggior parte di questi medici ammette di non avere proceduto al dosaggio delle IgE.

Sulla questione dell’intolleranza per gli adulti, il consulente ha sottolineato l’enorme diffusione di test basati sulla misurazione dell’IgG4, da cui emerge che l’85% dei soggetti sottoposti alla prova risulta intollerante. Alla domanda del pm se questi test siano riconosciuti dalla comunità scientifica, il consulente ha detto che i test hanno delle limitazioni. Tanto che l’anno scorso l’Ordine dei medici ha pubblicato un documento condiviso che individua diverse criticità in questi tipi di prove che purtroppo sono molto diffusi e si trovano in farmacia.

L’allergologa Paola Minale, chiamata come teste dalla difesa, ha sottolineato che l’allergia alle proteine del latte nei bambini interessa una piccola parte della popolazione, con una predisposizione genetica a sviluppare anticorpi contro certe proteine. Il problema non è quindi determinato dal latte, ma dal sistema immunitario che sbaglia. L’evoluzione di questi problemi è, però generalmente favorevole, perché col tempo i bambini acquistano tolleranza verso l’alimento inizialmente considerato allergenico. Anzi, una nuova linea di interpretazione propone l’introduzione degli alimenti allergenici sin dai primi mesi di vita, per indurre una maggiore tolleranza, e questo costituisce un dato favorevole nei confronti di certi cibi.

Minale ha precisato che c’è una differenza sostanziale tra cioè avere un esame del sangue positivo ceh indica una sensibilizzazione ed essere allergici. L’allergia riguarda un gruppo ristretto della popolazione: il 4-8% dei bambini e il 4% degli adulti. Per questo motivo i test diagnostici devono essere molto precisi e tutte le società scientifiche, compresa la federazione dell’Ordine dei medici e dei dentisti, hanno sconfessato l’utilizzo di test facilmente reperibili anche in farmacia come il dosaggio dell’IgG e altri. L’allergia è causata da specifici anticorpi che si possono dosare, mentre l’intolleranza si determina con un test specifico, che è il Breath Test. Senza test attendibili si hanno dei falsi malati, che saranno curati in maniera inadeguata, magari con un’alimentazione inadeguata.

Una teoria afferma che il latte aumenta la produzione di muco durante i malanni stagionali

La consulente Silvia Fargion ha detto che la grande maggioranza delle persone intolleranti non ha sintomatologie precisa, precisando che anche la maggioranza delle persone considerate “intolleranti sintomatici” può consumare 250 ml di latte al giorno (12 g di lattosio) senza manifestare effetti avversi. Se poi si divide la quantità di bevanda nell’arco della giornata, difficilmente si riscontrano fastidi. Per cui è sbagliato dire che se un bambino o un adulto ha un’intolleranza al lattosio non deve bere latte, perché in questo modo la persona viene privata di una serie di nutrienti essenziali per la crescita, per l’accrescimento delle ossa, l’omeostasi e il benessere dell’organismo.

Quarto capo d’accusa: il latte vaccino esaspera la già eccessiva produzione di muco associata ai malanni stagionali. L’accusa si è limitato a dire che nel web ci sono molti documenti sull’argomento compreso un articolo dell’Huffington Post su una ricerca scientifica. Tuttavia, è vero che alcuni peptidi, presenti soprattutto nello yogurt, facilitano la secrezione di muco, ma si tratta di un particolare tipo di muco (MUC2) che forma quella barriera tra intestino e microbiota utile al rapporto di simbiosi tra il nostro organismo e la flora intestinale. Nel dibattimento, comunque, questo tema ha avuto un ruolo marginale.

Quinto capo d’imputazione: il latte stimola la proliferazione delle cellule tumorali alla mammella a causa del contenuto di ormoni. L’accusa ha citato un passo del documento Bevete più latte del prof. Berrino, secondo cui il latte che si produce oggi è molto diverso da quello di 50-100 anni fa. Mentre allora le vacche mangiavano erba, venivano munte solo dopo il parto e davano 5-7 litri al giorno oltre a non produrre latte durante la gravidanza successiva, oggi con la selezione genetica abbinata a una dieta iperproteica permette di ottenere oltre 30 litri di latte al giorno anche durante la gravidanza, e il latte munto nei mesi prima del parto è molto più ricco di estrogeni, ormoni che stimolano la proliferazione delle cellule tumorali della mammella.

Secondo alcuni, come Berrino, il contenuto di estrogeni del latte può favorire lo sviluppo del tumore al seno

In risposta a quanto affermato dall’accusa, l’avvocato Enrico Moscolini, vice presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, insieme all’avvocato del Foro di Milano Luciana Tullia Bertoli, ha letto alcuni passi di una pubblicazione firmata dalla Fondazione Umberto Veronesi, secondo cui “va premesso che esistono oltre duecento tipi di tumori diversi e il tumore è una malattia multifattoriale – alimentazione, stile di vita, condizioni ambientali – non ha una sola causa ma molte concause, che possono concorrere a modificare il rischio. Inoltre, un alimento può aumentare il rischio di tumore a un organo ma diminuirlo ma un altro. Il latte è così: ha un effetto protettivo per i tumori al colon-retto, perché apporta calcio, ma per lo stesso motivo aumenta il rischio di tumore alla prostata. Il calcio influenza il metabolismo della vitamina D, che stimola la crescita delle cellule della prostata. Calcio e vitamina D sembrano avere un moderato effetto protettivo contro il tumore al seno, però non si può dire che possano condizionare la comparsa della malattia. Latte e derivati vanno però evitati nel caso di tumore al seno già diagnosticato; apportano grassi che contengono estrogeni”. L’accusa ha affermato di condividere questa tesi secondo cui il rapporto tra l’assunzione di latte e tumori è plurimo, per cui su alcuni tumori il rischio viene aumentato, mentre per altri sia ha un effetto protettivo.

Il perito nominato dal tribunale Silvia Fargion ha voluto precisare che nel mondo scientifico c’è un sacco di letteratura spazzatura per cui per valutare un lavoro bisogna valutare attentamente dove sono pubblicate gli articoli, la reputazione delle riviste e se qualcuno ha pagato per pubblicare l’articolo. Fargion ha ammonito invitando a non accogliere passivamente informazioni non sufficientemente e scientificamente provate, sottolineando di avere esperienza personale di donne con tumore al seno, che non hanno voluto fare la chemioterapia salvavita, perché volevano fare la dieta di Berrino e “sono morte, ovviamente”.

La difesa ha risposto affermando che il latte è uno degli alimenti più sicuri, perché le prescrizioni e i controlli sono tra i più stringenti nel campo degli alimenti. Per quanto riguarda la presenza di estrogeni, è stato ricordato che la legge vieta l’utilizzo degli anabolizzanti, mentre gli antibiotici possono essere utilizzati solo in caso di accertata malattia e che il latte di animali sottoposti a terapia antibiotica non viene distribuito.

Sesto capo d’imputazione: connessioni tra il consumo di latte il morbo di Alzheimer, alcune patologie tumorali e l’autismo. L’accusa ha citato quanto detto in una trasmissione televisiva dal dott. Piero Mozzi, autore del libro La dieta del gruppo sanguigno, che è stato il volume più venduto su Amazon nel 2015. L’autore riporta strette connessioni tra l’assunzione di latte l’Alzheimer e varie tipologie di tumori, nonché afferma di essere testimone di guarigioni dal mutismo dopo la sospensione della bevanda nella dieta. Di fronte a un’osservazione del pubblico ministero sulla presenza di uno studio dell’Istituto nazionale dei tumori su queste connessioni, l’accusa ha assunto una posizione più prudente, dicendo che la comunità scientifica è estremamente attenta all’epidemiologia nutrizionale, non limitandosi ai singoli casi, per orientarsi in un tema molto complesso come questo.

Sul complesso dei capi d’accusa, il pubblico ministero ha chiesto alla difesa, se vi siano degli elementi che potrebbero essere veri, ma che la ricerca scientifica non ha ancora provato sino in fondo, oppure se si tratta solo di un problema di quantità e di soggetto che assume il latte. La difesa ha risposto che ad oggi, non ci sono evidenze sulla relazione tra latte e tumore, Alzheimer o malattie cardiovascolari, e neppure che sia la causa di allergie. Ovviamente, ha affermato, se ci si cibasse solo di latte, così come se ci si cibasse solo di pasta o solo di carne, probabilmente ci ammaleremmo.

Alla domanda del presidente del Tribunale se la percentuale di estrogeni nel latte possa costituire il problema, la difesa ha risposto che le sostanze esterne possono costituire un problema ma non si deve creare allarmismo, dicendo che il latte fa male, senza specificare i problemi.

Al termine del dibattimento, il pubblico ministero ha osservato che le varie deposizioni non hanno fornito una prova, oltre ogni ragionevole dubbio, sulla nocività del latte e ha chiesto l’assoluzione.

La difesa si è associata alle conclusioni dall’accusa, sostenendo che, diversamente da quanto affermato dal pubblico ministero, l’istruttoria ha dimostrato che il latte è un alimento formidabile per la crescita dei bambini e la salute pubblica. Quindi ha chiesto l’assoluzione dell’imputato con formula piena, per assenza di prove e quindi perché il fatto non sussiste.

Nella sentenza il tribunale, visto l’art. 530, comma 1, del codice di procedura penale, ha assolto l’imputato perché il fatto non sussiste, come richiesto dalla difesa. Nelle motivazioni dell’assoluzione, il presidente del tribunale nella persona di Fabio Roia, presidente di sezione del Tribunale penale di Milano, ha scritto di ritenere che “non esistono ad oggi studi accreditati presso le più autorevoli comunità scientifiche, che evidenzino una caratteristica di pericolosità per la salute per l’alimento latte. In particolare, con riferimento a intolleranze e allergie, è stato accertato che si tratta perlopiù di un fattore ascrivibile al consumatore, alle caratteristiche del consumatore e non già al prodotto di per sé. Si considera comunque per una corretta assunzione del prodotto e dell’alimento, di seguire le linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità, perché l’alimento presenta comunque delle caratteristiche nutrizionali di non esaustività sul piano dell’apporto, e soprattutto deve essere assunto in relazione a variazioni che riguardano genere, età e particolari condizioni del consumatore”.

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ezio
ezio
6 Dicembre 2017 17:32

Molto interessante la considerazione conclusiva che i vari e possibili problemi causati dal latte non sono attribuibili all’alimento in se, ma al consumatore che può reagire all’assunzione, manifestando intolleranza allergia o altre pericolosità.
Come se sotto accusa ci fossero le vacche produttrici colpevoli di possibile avvelenamento pubblico e non la dietologia medica generale, che ne regola e consiglia l’assunzione a tutti i consumatori e pazienti di tutte le età.

Antonio
Antonio
13 Dicembre 2017 15:59

Mozzi, Berrino e tanti altri.
La mucca che fa 5-7 litri di latte !!! La gallina ruspante in giardino Ma Berrino quante mucche ci vogliono per sfamare la popolazione? Le galline in centro a Milano dove le mettiamo ?
Sarà o no questione di genetica animale e sostenibilità alimentare
Basta santoni negazionisti e fantasie varie… non se ne può più ! E si vedono spesso anche in televisione.
Con un pacco di uova, 1 litro di latte, e 1 kg di pane si spende pochissimo e diamo da mangiare a tutti, poveri compresi.
Però se Berrino è interessato posso vendergli delle uova a 5 euro al pezzo 1 litro di latte a 6 euro e un kg di pane a 20 euro. Basta che ci sia mercato glieli trovo io li allevatori disposti a fare come vuole lui, Non c’è problema basta pagare. Si ma chi paga?
Io però rimango povero, lui no.
Parliamo piuttosto di corretta nutrizione, di obesità, di stili di vita, di mangiare un pò di tutto ma molto meno

vincenzo
vincenzo
Reply to  Antonio
14 Dicembre 2017 14:34

la cosa divertente è che Berrino non accenna mai alle sue tesi “complottiste” quando partecipa a convegni scientifici seri, probabilmente è consapevole del fatto che i suoi colleghi gli riderebbero in faccia.

ezio
ezio
Reply to  Antonio
14 Dicembre 2017 17:44

Concordo pienamente con la conclusione, anche se conoscendo le posizioni e consigli dei citati ricercatori, la raccomandazione suddetta è consigliata anche da loro.
Mangiare meno per mangiare meglio, si spende uguale che mangiare tanto e peggio.

Costante
Costante
20 Dicembre 2017 17:11

La cosa più significativa è che Berrino e gli altri critici del latte non hanno voluto partecipare al dibattito.

Costante
Costante
22 Dicembre 2017 20:02

………..”non hanno voluto partecipare al dibattito” è diverso dalla realtà di chi rifugge la possibilità di difendere in pubblico consesso le proprie asserzioni pseudoscientifiche che si configurano ineqiuvocabilmente in tal modo come fake-news atte a danneggiare l’immagine di un prodotto e la salute dei consumatori inesperti che possano dargli credito . Come chiamare tale fuga dalle proprie responsabilità ?