Gamberi, gamberetti e crostacei sono sempre più presenti sulle tavole dei consumatori, ma la gente non sa che sono anche in cima alla classifica delle emissioni di anidride carbonica, quando si misura la quantità relativa alla pesca in mare aperto. Il loro consumo andrebbe considerato anche da questo punto di vista.
Uno studio pubblicato su Nature Climate Change esamina l’impatto nell’atmosfera della pesca di crostzcei. Per la prima volta, i ricercatori dell’Institute for Marine and Antarctic Studies dell’Università della Tasmania di Hobart, in Australia, e quelli dell’Institute for the Oceans and Fisheries dell’Università della Columbia Britannica di Vancouver, in Canada, hanno fatto i conti sulle emissioni di CO2 degli ultimi anni. Come ricordano gli scienziati, queste valutazioni sono sempre state fatte e sono tuttora in corso per quanto riguarda l’allevamento intensivo. Attualmente la stima globale delle emissioni nocive prodotte dall’uomo assegna a questo tipo di fonti tra il 14 e il 20% del totale. La valutazione non ha mai tenuto conto degli scarichi delle barche da pesca che invece, secondo gli autori, nel 2011 hanno consumato 40 miliardi di tonnellate di gasolio, emettendo 179 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, pari al 4% di tutto il biossido di carbonio che deriva dalla produzione di cibo.
Il dato più preoccupante evidenziato nello studio è l’aumento delle emissioni della pesca in mare rispetto al 1990, pari al 28% (mentre quello derivante dalle coltivazioni e dagli allevamenti a terra è aumentato del 21%). Nello specifico, i crostacei sono responsabili del 22% delle emissioni di CO2 del settore, anche se rappresentano solo il 6% del pescato che arriva a terra. E questo perché le pratiche necessarie per la cattura sono particolarmente intense, e annullano anche i benefici derivanti da barche (e relativi motori) più efficienti e da rotte talvolta più corte rispetto al passato.
Gli stessi autori nel 2014 avevano quantificato le emissioni per alcuni tipi di pesce (basandosi sui dati di 1.600 registri carburanti di tutto il mondo) in uno studio pubblicato su Fish and Fisheries e ripreso anche da Science, dimostrando così che ci sono enormi differenze, quanto a litri di gasolio necessari per portare a terra una tonnellata di pesce, dovute alle diverse tecniche necessarie (reti, draghe, gabbie e così via). Per esempio per le sardine bastano 71 litri, 434 per il tonno palamita, 525 per le capesante, 886 per il salmone nord-americano, 1612 per il tonno bianco del Pacifico, 2.827 per la sogliola e 2.923 per gamberi e aragoste.
Per rendersi conto dell’impatto basta dire che ogni chilogrammo di pesce portato a terra produce un’emissione di oltre 2 kg di CO2 (simile a quello che necessario negli allevamenti per ottenere un chilo di polli, trote e salmoni). Il valore risulta comunque decisamente inferiore rispetto a quello degli allevamenti bovini dove per un chilo di carne si producono 10 kg di CO2.
Anche tra il pesce, quindi, la scelta può fare la differenza. Preferire il pesce azzurro rispetto agli ormai onnipresenti gamberi, soprattutto se pescati e non allevati, oltreché assicurare bassi livelli di contaminanti quali il mercurio ed elevate concentrazioni di acidi grassi, fa bene anche all’atmosfera.
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Giornalista scientifica
Una mattina ci siamo svegliati ed abbiamo scoperto che per ogni cosa che facciamo ne distruggiamo almeno due del nostro ambiente!
Non ho le risposte per le soluzioni globali in balia delle super produzioni ed il consumismo spinto, che sembra l’unico motore per mantenere il PIL in costante crescita, pena recessioni e fallimenti.
Ma nel mio piccolo mondo sociale posso, ho fatto e continuo a fare scelte contro corrente, come alimenti e prodotti biologici ed ecologici a basso impatto, raccolta differenziata per favorire il riciclo degli scarti, alimenti locali poco conservati e trasportati, prodotti ed oggetti della nostra comunità per favorire un’economia circolare, pochi materiali plastici scelti tra quelli riciclabili e la preferenza per il legno, il vetro, la ceramica, ecc.. per favorire una lunga durata degli oggetti domestici, largo uso della bicicletta e dei mezzi pubblici condivisi soprattutto per i lunghi spostamenti ed un uso molto limitato dell’auto personale.
Scelte di vita condivise e difese che non risolvono il grande impatto sociale della comunità mondiale, ma che se proiettate idealmente ai 7 miliardi di persone con le quali condividiamo la Terra, potrebbero invertire la tendenza distruttiva in atto.
Condivido appieno e concludo il mio breve commento con una citazione:
“Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo.” M. Gandhi