Un ristoratore è stato condannato per aver conservato crostacei vivi in ghiaccio con le chele legate

A gennaio di quest’anno è rimbalzata la notizia della decisione della Corte di Cassazione che confermava la condanna per maltrattamento di animali (1) nei confronti di un ristoratore fiorentino, reo di aver ripetutamente conservato crostacei vivi, in attesa di essere cucinati, in una cella frigorifera e con le chele legate. Oggi la storia torna di attualità con la pubblicazione delle motivazioni della Cassazione e la conferma  dell’ammenda di 5 mila euro oltre al risarcimento di 3 mila euro alla parte civile (la Lav, che aveva segnalato il ristoratore alle autorità).

I giudici di Firenze sostengono che conservare “i crostacei in frigorifero, a temperature prossime allo zero”, come faceva il ristoratore, costituisce maltrattamento di animali, abituati come sono a vivere in acque temperate. Inoltre, il Tribunale fiorentino riteneva  che esistono degli “accorgimenti più complessi ed economicamente più gravosi” per tenere questi animali “in modo più consono alle loro caratteristiche naturali”, ovvero l’allestimento di acquari a temperature adatte ai crostacei, utilizzati già da molti ristoranti e pescherie, ma che il condannato avrebbe scelto di non adoperare per questioni economiche. Un altro comportamento contestato è la legatura delle chele, perché impedisce agli animali di esprimere i loro comportamenti naturali. Secondo la difesa, il ristoratore non ha fatto altro che mantenere i crostacei nella stessa condizione in cui vengono trasportati: su un letto di ghiaccio e con le chele legate.

La decisione del Tribunale si basa sulle raccomandazioni relative alla conservazione di aragoste e astici vivi (2) del Centro di referenza nazionale per il benessere animale dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (Izsler). Nel documento del 2007 si afferma che il mantenimento degli animali sul ghiaccio “è assolutamente inappropriato sia come metodo anestetico che come metodo di stoccaggio” perché potrebbe determinare vari tipi di stress e sofferenze ai crostacei. È maltrattamento, per gli esperti, anche la legatura delle chele per tempi prolungati. In conclusione poi, l’Izsler raccomanda di conservare i crostacei vivi per una settimana in acquari a 12°C, mentre la conservazione fuori dall’acqua è raccomandata solo per tempi brevi (48 ore), a temperature di 6/8°C. Niente bollitura degli animali vivi: meglio anestetizzare gli animali (in salamoia a -1°C per cinque minuti) e poi sopprimerli immediatamente prima della cottura con la tecnica dell’infissione di un coltello tra gli occhi, che provocherebbe una morte istantanea e indolore.

Secondo un parere dell’Izsler, la conservazione dei crostacei dovrebbe avvenire in acquari

Ma non tutti sono d’accordo con le conclusioni dell’Izsler. Il  CeIRSA, centro per la sicurezza alimentare di Regione Piemonte e ASL di Torino, ritiene che il parere dell’Istituto non può essere “automaticamente applicato in modo estensivo”. Secondo il documento (3), pubblicato nel gennaio 2017, la tutela del benessere dei crostacei, per quanto importante, non può essere perseguita a scapito della sicurezza alimentare. La conservazione a temperature superiori a quelle del ghiaccio può causare un aumento della carica batterica e un rischio per i consumatori. Soprattutto se gli acquari non sono gestiti in modo corretto da personale qualificato. Anche sulla questione della legatura delle chele il CeIRSA si trova in disaccordo. Legare le chele è considerata una buona pratica a livello internazionale. Gli astici (le aragoste non hanno chele), quando sono costretti a convivere in spazi ridotti (come un acquario) assumono comportamenti aggressivi, fino al cannibalismo: legando le chele si evitano ferite e mutilazioni, anche agli operatori che maneggiano i crostacei.

Secondo la normativa europea, i crostacei venduti vivi sono considerati “prodotti della pesca mantenuti vivi” e non esistono leggi, europee o nazionali, né linee guida ministeriali, che indirizzino il comportamento degli operatori come gli addetti dei reparti di pescheria che devono sopprimere l’animale prima della vendita al consumatore, i ristoratori che hanno necessità di mantenere i crostacei in vita fino al momento del consumo e gli ispettori che fanno i controlli ma non sono adeguatamente formati. Inoltre, essendo considerati già ‘alimenti’ e non più ‘animali’, devono sottostare anche alle norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale.

La situazione è resa ancora più confusa dai regolamenti comunali emanati in alcune città, che stabiliscono come debbano essere conservati i crostacei vivi. Tuttavia, in assenza di una solida base scientifica e un’adeguata comunicazione e formazione degli operatori, si corre il rischio che, nel migliore dei casi, ristoratori e pescherie si trovino involontariamente in violazione della norma, nel peggiore, che si metta a repentaglio la sicurezza dei consumatori adottando provvedimenti inadeguati.

Non esiste una normativa per la tutela del benessere dei crostacei dopo la pesca

“Manca un indirizzo comune – spiega Valentina Tepedino di Eurofishmarket – per questo, insieme alla Società scientifica di medicina veterinaria preventiva, stiamo creando un tavolo di lavoro con esperti pubblici e privati in materia scientifica e legale per creare una raccolta di pareri autorevoli da mettere a disposizione delle istituzioni.” La speranza è che questo impegno si concretizzi nell’emanazione di una disciplina armonizzata che concili la tutela del benessere dei crostacei con le esigenze commerciali degli operatori del settore e rappresenti un riferimento chiaro e univoca. “Il testo – continua Tepedino – dovrà essere utile non solo agli addetti ai lavori per la gestione di questo tipo di alimenti/animali, ma anche alle autorità addette al controllo ufficiale, per un’azione coordinata e coerente in tutto il territorio nazionale. Anche a questo scopo abbiamo formulato ed inviato una prima interrogazione al Ministero della salute sul tema del benessere”.

In assenza di una normativa chiara, tutto è lasciato alla discrezionalità di forze dell’ordine e magistratura, per cui si assiste a sentenze come quella di Firenze e quella esattamente opposta emessa da un giudice di Torino per fatti analoghi. “Una volta stabilite delle regole comuni- continua Tepedino- sarà necessario fare un’adeguata campagna di comunicazione e formazione, come è stato fatto per l’Anisakis.” Solo con le giuste informazioni i soggetti coinvolti potranno prendere le misure adeguate per garantire al contempo benessere animale e sicurezza alimentare, per il bene dei crostacei, dei consumatori e degli operatori.

Note:

(1) Comma 2 dell’articolo 727 del Codice penale

(2) “Sofferenza di aragoste e astici vivi con chele legate e su letto di ghiaccio durante la fase della commercializzazione”, Paolo Candotti, Centro di referenza nazionali per il benessere animale, Izsler

(3) “Esposizione di crostacei vivi ai fini della vendita e della somministrazione”, CeIRSA

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Carla Zanardi
Carla Zanardi
8 Luglio 2017 21:38

La descrizione è raccapricciante, come un film dell’orrore. A legislatori, pescivendoli, ristoratori, clienti va imposto di “sottrarre gli animali alla crudeltà” (E. Zola). Ma siamo davvero “umani”?